“Rifiutiamo la logica che ci vuole oggetti passivi di fronte allo spettacolo. Creiamo musica nata dal basso, nata dalle nostre reali esigenze: reale divertimento contro il loro fittizio gioco, non accettiamo intermediari…”
Rotorniamo negli anni ottanta a Milano per la senconda parte del capitolo dedicato ai punti di incontro dei giovani punx milanesi…
Capitolo III – Parte IV
Fondamentale per l’avvicinamento agli ambienti anarchici sarà anche l’incontro di alcuni punk con il bassista del gruppo londinese dei Crass, Pete Wright, a Milano.
Nell’intervista a Radio Popolare spiega:
“Noi Crass siamo un gruppo di quasi 20 persone. Ci sono dai cinquantenni ai dodicenni, passando per tutte le età. Per noi è stato più facile, le condizioni materiali sono molto differenti in Inghilterra, ma non escluderei la possibilità di creare anche qui a Milano una situazione simile.
E’ importante lavorare su un progetto ampio con soggetti che provengono anche dalle generazioni passate.
Il mondo che ci circonda ci vuole dividere, producendo etichette, mode e altre stronzate del genere…
Sono passati ormai 5 anni; il testo di una nostra canzone sostiene che il punk è stata la risposta ad anni di schifo, una maniera di dire no quando avevamo sempre detto si.
Da lì si è ripartiti con tutta la carica di provocazione e negazione possibile che ne è seguita, ma adesso è venuto il momento di ricostruire. E’ certo affascinante la distruzione di ogni cosa, di ogni simbolo della nostra oppressione, ma il progetto non lo si costruisce solo sbattendo la testa contro un muro, prima è meglio cercare un amico e un martello”.[1]
Questa intervista aprì gli occhi di molti punk all’ascolto, proponendo una visione del punk “attiva”: non come distruzione e autodistruzione, ma come progetto e impegno per la creazione di una realtà alternativa.
Dopo il volantino dall’unione di alcuni punk e anarchici, esce la rivista “Nero”, foglio anarchico milanese.
Si trattava, almeno al primo numero, di una pubblicazione ancora molto legata agli schemi politici degli anni ’70.
In seguito cambierà, diventando una punkzine.
Era, comunque, una risposta al tentativo di commercializzazione del punk.
“ Il vento iniziale è del ’77, con la sua carica d’ironia e satira unite alla volontà di autovalorizzare la diversità, l’individuo, l’emarginazione. Senz’altro sono tutte un insieme di proposte valide che da un lato hanno dato uno scossone al sistema, ma dall’altro hanno offerto il fianco e operazioni commerciali di mercificazione, soprattutto nel campo musicale.
Nel fenomeno punk esistono spazi e persone realmente impegnati nel sociale, operanti un tentativo di sintesi tra musica e impegno politico; dove non c’è posto per il qualunquismo, per il perbenismo, per le istituzioni, né per il ribellismo irrazionale.” [2]
La sede della redazione è situata proprio nell’area di Via Correggio 18, occupata già dal 1975.
Nella stessa area sorge il Vidicon, uno dei locali più “alla moda” della città, aperto in accordo con il preesistente collettivo di gestione del centro sociale.
Pur essendo l’iniziativa dello spazio Vidicon piuttosto modaiola, finisce con l’esercitare un certo fascino anche sui punk che si trovano a frequentare la casa occupata.
Per i punk, sempre in cerca di spazi in città, diventa in poco tempo il loro punto di riferimento e il loro luogo di incontro, soprattutto nei week- end.
“L’esperienza del Vidicon ha inizio nel maggio del 1980 a opera di un gruppo di giovani di età media intorno ai 25 anni, perlopiù ex- studenti dell’Accademia di Belle Arti di Milano, desiderosi di prestare la loro esperienza teorica per cercare di allargare la pratica della socializzazione attraverso la produzione artistica…
Fondamentale per questa esperienza è stata la scelta del luogo: una vecchia fabbrica di alimenti abbandonata, situata nel cortile di una casa occupata di Via Correggio 18 a Milano. […]
Dopo un periodo di ristrutturazione, durato cinque mesi, e operato dagli stessi gestori, il Vidicon si presentava come il locale più all’avanguardia di Milano.
Lo spazio era composto da due ampie stanze tappezzate interamente di piastrelle bianche e luci al neon, che conferivano un aspetto di particolare freddezza a tutto l’ambiente, completamente vuoto e non arredato, a parte la presenza di una serie di monitor e di pochissimi posti a sedere in antitesi alle solite discoteche.
Nella stanza più ampia era situato un palco molto basso e non separato, che permetteva un contatto più caldo e meno formale tra gli eventuali musicisti e il pubblico.
Infine in una stanza più piccola si proiettava e si vedevano (sempre rimanendo in piedi), i filmini di autori perlopiù sconosciuti.
Ma la carica vitale veniva portata dal pubblico stesso, che diventava una sorta di arredamento vivente, uno spettacolo nello spettacolo.”[if !supportFootnotes] [3][endif]
Nel locale si svolgono varie iniziative culturali, come mostre, presentazioni di libri o film, dibattiti; ma sono soprattutto i concerti ad attirare i punk.
Si dà, infatti, largo spazio a quei gruppi musicali fuori dal circuito commerciale e dal mercato, che altrimenti non potrebbero suonare per mancanza di risorse economiche, favorendo soprattutto le nuove sonorità.
I frequentatori del locale sono molto diversi tra loro e provengono da tutti i ceti sociali; i punk si mischiano, quindi con un universo variegato di comportamenti e stili da vita.
Ma soprattutto sarà fondamentale il rapporto che si instaurerà con i “compagni”, i vecchi occupanti dello stabile.
Questa volta il rapporto tra le due parti è discreto e permetterà un avvicinamento di molti punk al movimento delle occupazioni milanesi.
L’esperienza del Vidicon durerà solo un paio di anni; alla fine del 1981, a causa di problemi, soprattutto finanziari, insormontabili per i gestori, che erano perlopiù di estrazione proletaria, si rende necessaria la chiusura del locale.
Al suo posto nascerà, ad opera di un centinaio di punk, il Virus, il primo centro sociale d’Italia per punk, anzi, per “punx”, come si faranno chiamare d’ora in avanti.
La scelta di cambiare il nome e sostituire una “x” alla “k” finale, nasce da una forte esigenza di differenziarsi da altre pratiche consimili presenti anche in città, ma meno radicali e meno politicizzate.
A Milano, infatti, il numero dei punk in quegli anni cresce, ma per molti si tratta solo di un fenomeno di moda legato alla musica.
Nascono in città i locali per i “punk dalla domenica”, per sfruttare l’interesse dei giovani verso quel genere di musica si organizzano concerti usando i grandi nomi del punk per guadagnare soldi, attirando così un pubblico sempre più vasto.
E’ proprio in questo momento che i punx anarchici, cominceranno la loro campagna contro ogni tentativo di commercializzare il punk e di trasformarlo in un fenomeno di “moda”, un puro fatto di stile.
Si organizzano dei volantinaggi davanti ai locali come l’Odissea 2001 o lo Studio 54, in occasione di concerti come quello storico dei Clash o quello di Adam & the Ants.
In questa ultima occasione sul volantino, distribuito davanti al Rolling stone, si legge:
“Rifiutiamo la logica che ci vuole oggetti passivi di fronte allo spettacolo. Creiamo musica nata dal basso, nata dalle nostre reali esigenze: reale divertimento contro il loro fittizio gioco, non accettiamo intermediari…”
Ancor più significativo è il testo del volantino distribuito in occasione del concerto gratuito dei Clash, in Piazza Maggiore a Bologna nell’estate dell’80.
“Kids, il sistema continua a darci merda da mangiare- respirare- ascoltare così come ci passa questi fottutamente inoffensivi Clash e cerca di convincerci che il punk è morto; non possiamo permettere che si impossessi delle nostre cose per poi svuotarle e restituircele innocue. Dobbiamo usare ogni mezzo a nostra disposizione per evitare che ci studino, facciano tesi su di noi, cerchino di interpretarci- svelarci- spiegare chi si siamo cosa facciamo cosa vogliamo. Dobbiamo strappare il punk dalle pagine dell’espresso o della Repubblica, ed evitare che venga recensito ed interpretato come genere musicale per estirpargli ogni potenzialità eversiva.