Il punk mi ha sempre interessato molto dal punto di vista musicale in tutti i suoi generi e sfumature.
Da questa mia passione è nata la curiosità di andare oltre il lato puramente musicale e cercare di superare quei luoghi comuni che da sempre esistono e che dipingono i punk esclusivamente come soggetti passivi senza ideali né progetti.
Per questo ho deciso di approfondire e analizzare l’esperienza del Virus, un centro sociale milanese, attivo tra il 1980 e il 1984, gestito esclusivamente da punx anarchici.
La prima parte dell’analisi è storica: ho brevemente analizzato la nascita del punk inglese cercando di individuare le caratteristiche principali di questo nuovo modo di pensare e di vivere.
Ho cercato, inoltre, di ricostruire la situazione sociale e politica in Italia alla fine degli anni ’70, la cui conoscenza è essenziale per capire le trasformazioni e la peculiarità del punk italiano rispetto a quello inglese, nato appunto in quel particolare contesto storico.
Ho poi raccontato la nascita dei primi punk e la loro difficile sopravvivenza in una città come Milano.
Una parte centrale è dedicata interamente al Virus: le iniziative, le attività, il pensiero dei punx anarchici, i concerti durante i suoi quattro anni di vita.
Le informazioni raccolte sono state frutto di una ricerca e di una analisi dei documenti dell’epoca: articoli di giornali, volantini, fanzines, pubblicazioni etc.
Ho cercato di ricostruire il clima e l’ambiente che si respirava in Via Correggio 18 approfondendo i temi e gli argomenti più importanti per i punx.
Ho tracciato brevemente la situazione dopo lo sgombero e la chiusura del Virus, il disorientamento e lo smarrimento dei punx dopo avere perso il loro punto di riferimento.
La seconda parte è di ricerca empirica, condotta tramite diverse interviste ai punx di ieri del Virus e i nuovi punk di oggi, cercando di confrontare le due diverse esperienze e vedere se l’eredità del Virus fosse stata più o meno assorbita dalle nuove generazioni e quale concezione avessero queste ultime del punk.
Introduzione
Tracciare una storia del punk e trovarne una data di nascita e morte è un’impresa molto difficile, ma ancor più difficile è trovare un unico “significato” dietro questo movimento.
Cercarlo è semplificare un discorso molto più complesso; è soffocare le numerose voci e gli individui che ne hanno fatto parte, è voler ridurre ad un semplice fenomeno da analizzare e catalogare qualcosa che per sua natura non si può inquadrare e schematizzare.
Molti pensano che il punk sia stato solo una moda, un genere musicale, un modo bizzarro di pettinarsi e vestirsi, uno stile senza alcun significato, ma non è così.
Comprendere il punk non è difficile perché mancano i significati, semmai per l’esatto contrario: perché le idee e le interpretazioni sono moltissime e molto diverse tra loro, quanto numerosi e diversi sono i giovani di tutto il mondo che si sono avvicinati al punk.
E’ sempre stato vissuto in modo molto soggettivo, diverso a seconda del clima politico, sociale ed economico nei luoghi in cui si è diffuso tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.
E’ per questo che la parola punk comprende molte esperienze diverse, alcune anche in contrasto tra loro, accomunate da un uguale rifiuto e repulsione per la società e tutto ciò che ne fa parte, unite solo dal desiderio di essere diversi e stare fuori dal sistema.
E’ questo che, infatti, unisce sotto la stessa “parola” delle esperienze così diverse come il punk inglese fatto di puro nichilismo e disfattismo concentrato nello slogan “NO FUTURE” e il punk anarchico (sempre inglese) che si rifaceva al gruppo musicale CRASS, che meglio di tutti ha unito il punk all’azione politica, alla non- violenza, al pacifismo, il cui esempio è stato poi seguito anche dai punx italiani del Virus.
Apparentemente nulla sembra legare queste due esperienze.
Diversa la musica e i testi: all’insegna della rinuncia e del nichilismo i primi, politicamente impegnati e densi di significati i secondi.
Diverso lo stile di vita: per strada senza nessuna occupazione i primi, vita in comune e attivismo per i secondi.
Diverso persino il modo di vestire: molto più appariscente e caotico il look dei primi fatto di ciuffi e creste colorate, anfibi e giubbotti in pelle, impermeabili e indumenti in plastica e PVC dai colori brillanti…il tutto tenuto insieme da adesivi e spille di sicurezza, borchie e mollette da panni, molto più essenziale il look dei secondi, rigorosamente nero e semplice.
E questo è solo un esempio della diversità all’interno del punk e rende l’idea di quanto forte sia il collante che le unisce, di quanto irriverente, rivoluzionario, insurrezionale e innovativo è stato il messaggio del punk, cioè l’uscita totale dalla società e dalle logiche del mercato “giovanilistico”, “una risposta ad anni di schifo, una maniera di dire NO! Quando avevamo sempre detto SI!” per parafrasare i CRASS.[M. Philopat, 1997]
Solo tenendo presente la violenza e la forza di questo messaggio si può comprendere sotto la parola PUNK degli stili di vita così diversi tra loro e si può guardare al punk come ciò che realmente è stato: una nuova cultura, contro, sotto o sopra che fosse, ma comunque autonoma dalla cultura dominante.