THRICE: Vheissu

Dopo quasi due anni trascorsi on-the-road i Thrice ritornano a farsi sentire con un disco che sicuramente avrà il diritto di far parlare di se: questo nuovo “Vheissu”, (titolo curioso e sulla cui origine la band non ha svelato pressoché nulla…) si presenta con una veste grafica fortemente diversa rispetto a quella in cui ci avevano abituato coi vari “illusion of safety”,”the artist in the ambulance”, e l’ultimo “if we could only see us now” (raccolta di live e inediti) e anche le prime impressioni all’ ascolto sono quelle di qualcosa di nuovo.

Di sicuro il gruppo, come dice lo stesso cantante Dustin Kensrue ha avuto un approccio al nuovo materiale molto più lento ed introspettivo, portandoli ad abbandonare quasi completamente le influenze delle più commerciali band della scena punk/emocore/ andando verso un risultato che in principio potrebbe spiazzare chi si sarebbe aspettato un seguito del commercialmente acclamato “the artist in the ambulance” ma che risulta alla lunga un lavoro curato, profondo e interessante sotto ogni aspetto.
La dedizione che la band ha dedicato alla cura di ogni sfumatura lirica e musicale di questo disco lo rende forte e dolce allo stesso tempo, intenso e originale. In un momento in cui molte band emergenti cercavano con più o meno successo di riprendere lo stile lanciato dal quartetto di Irvine (CA) il gruppo ha saputo rilanciare la propria credibilità e il proprio valore in ambito compositivo con un disco memorabile e il cui valore esce dalle restrizioni dei generi.

Il primo pezzo: “/image of the invisibile/” lascia intravedere reminescenze del loro ultimo lavoro: una canzone diretta e orecchiabile, se pur curata al limite della perfezione nei suoni e negli arrangiamenti, ma la prima vera prova tangibile della loro evoluzione la abbiamo con “/Between the End and where we lie/” in cui iniziano a spiccare, sotto la voce malinconica di Dustin, sintetizzatori e suoni di drum machine che arricchiscono il risultato complessivo, senza però perdere in alcun modo di intensità.
Con “/The Earth will shake/” si ha la netta impressione che qualcosa sia cambiato: la melodia lenta e trascinante della voce ci introduce in un territorio nuovo e inesplorato anche per i cultori del genere, aprendo la mente a influenze di Radiohead e Muse, evolvendosi in un crescendo di tempi e armonie pesanti e ricercate con scream taglienti e forti come nella migliore tradizione, ed è proprio qui che irrompe profonda, toccante e riflessiva “/Atlantic/” ennesima prova di come, anche in ambiti mai affrontati in passato dalla band il risultato sia eccellente e originale. Stessa cosa si puo dire con “/For Mi/les” in cui voce e piano si fondono in melodie intense e ritmi atipici senza mai scadere nella forzatura aprendo lentamente un finale forte e solenne che apre la porta al pezzo che forse maggiormente ci riporta al loro vecchio stile come forza e velocità: “/Hold fast hope/” ma proprio quando pensavo di aver ritrovato un punto d’appoggio per non esulare completamente questo disco dalla marmaglia di roba emo più o meno “core” ecco emergere, lenti e intensi, suoni che ricordano alla lontana i tool nella cura del dettaglio e dei suoni nell’ arrangiamento.
Non ce n’è, il disco è un opera per conto suo, frutto del lavoro di una band compatta e con le idee chiare che, cresciuta attingendo il piu bossibile dalla scena underground si è, con gli anni, appropriata di uno stile proprio e inconfondibile lasciando tutti gli altri un gradino sotto. Il clarillon di “Music box” e il piano di “Like moths to flame” ci introducono in altrettanti momenti di calma prima della tempesta lasciandoci poi al più intenso dei finali: un crescendo di rabbia e melodia, armonie e liriche solenni intente a risvegliare la vita e l’indentità delle persone in un mondo che appiattisce e banalizza anche il più roseo dei futuri, come in “/Of dust and nations/” e “/Stand and feel your worth/”:

” /Wake, feel your worth, O my soul.Speak the word, the word that can save us all.Awed by grace, I fall on my face.And scream the word that can save us all/.”

Il finale, degna conclusione di un opera tanto ricercata, è lasciato a “/Red sky/” un lento che racchiude in se tutta la ricchezza di suoni, arrangiamento e intensità espressa dal resto del disco.

In conculsione: un disco da avere e che raccomanderei in particolare a tutti gli amanti della scena che spazia tra l’emo e il post-hc convinti che sia ormai in parabola discendente e che finisca, come il nu-metal, come una moda passeggera senza lasciare incisivamente il segno nel mondo della musica, questo disco, da solo, già lo fa.

Tracklist
1. Image of the Invisible2. Between the End and Where We Lie3. The Earth Will Shake4. Atlantic5. For Miles6. Hold Fast Hope7. Music Box8. Like Moths to Flame9. Of Dust and Nations10. Stand and Feel Your Worth11. Red Sky

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