THE GASLIGHT ANTHEM: American slang

Quello che mi appresto a recensire è ilnuovo album dei The Gaslight Anthem, in uscita il 15 Giugno per la SideOneDummy Records.La  band di New Brunswick (New Jersey) haavuto negli ultimi anni una discreta esposizione mediatica grazie al consensoguadagnatosi con il precedente The ’59sound (SideOneDummy Records, 2008) e s’è conquistata così la possibilità dicondividere il palco con artisti come Bruce Springsteen e i Social Distortion.

Questo nuovo lavoro è composto da 10tracce per una durata complessiva di 34 minuti. Il genere proposto dalquartetto è un vivace rock-punk sulla falsa riga, per esempio, di Against me!,The Loved ones e Joe Strummer, ma è inutile nascondersi che il vero modello diriferimento per la band rimanga Bruce Springsteen. Il mood vocale di Brian Fallon deve moltissimo a The Boss,  sebbene diverga un poco per timbricadall’illustre connazionale; meno sporco Fallon, e leggermente più acuto, haperò in comune con il rocker americano l’accento e il dinamismo. Le chitarre,con un distorsione che ricorda più un crunch che un distorto vero e proprio,stendono un croccante tappeto sonoro che è completato da un basso essenziale edi buon gusto e da una batteria che suona decisamente rock. Insomma, se l’attitudinedel quartetto può essere maggiormente punk, il risultato sonoro li avvicina piùal cosiddetto Jersey Shore Sound.

Le canzoni sono varie eppure nell’insiemeomogenee; la titletrack è un rock energico che si dipana su un linea dibatteria pulsante e quanto mai azzeccata; StayLucky, Orphans e The Spirit of Jazz sono tre pezzi chenon sfigurerebbero nella discografia dell’autore di Born in the U.S.A; We did itwhen we were young è una ballad toccante e attraente. Si potrebbecontinuare l’analisi dei singoli pezzi, ma credo che la sostanza sia stataafferrata; allora non resta che giudicare l’album con uno sguardo d’insieme. IThe Gaslight Anthem non propongono niente di particolarmente innovativo, macredo che la loro forza risieda paradossalmente proprio nel fatto di esserecosì indebitati nei confronti di un gigante del rock contemporaneo da non poteresimersi dall’ ingaggiare con esso un perpetuo confronto/scontro;  duello fecondo per risultati, attitudine edinamismo. I TGA sono insomma un Bruce Springsteen del terzo millennio, piùpunk, più giovanili, ma certamente meno raffinati  e sfumati dell’illustre maestro, e non ancoraa livello di Springsteen per quanto riguarda le liriche, che rimangono comunquedi buonissima fattura. Ma sempre a lui si richiamano; non a caso la band sidefinisce come un “Bruce Springsteen checanta in una cover band dei The Cure, con una maggiore aggressività”. Conoscenzadel modello di riferimento, capacità di analizzarsi, coscienza della propriamusica e onestà intellettuale; questi sono gli ingredienti non prettamentemusicali di American Slang.

Anni fa il critico letterario HaroldBloom ideò il concetto di “angosciadell’influenza” ovvero quella spinta che ad un certo punto preme un autore aduccidere (metaforicamente) il padre letterario per poter divenire finalmentepadre di se stesso.  Io penso che undiscorso analogo si possa fare anche in àmbito musicale:  se i Gaslight Anthem riusciranno nel corsodegli anni ad uccidere (sempre metaforicamente) il loro padre artistico,saranno di conseguenza in grado di sostituirlo e sfornare un disco davveroepocale.  Per ora godiamoci questa stuzzicanteterza prova, grintosa e convincente, in attesa del vero capolavoro della bandche è ancora di là da venire, ma che noi tutti speriamo non s’attardi troppo.

Voto: 7½

Consigliato aifans di Bruce Springsteen, Joe Strummer, Against me!, The loved ones.

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