THE BASSHOLES : Bassholes

Doppia Recensione

    Era il 1998 quando il professor Don Howland di Columbus, Ohio incideva per la In The Red R. quello che a tutt’oggi rimane il suo capolavoro artistico targato Bassholes: When My Blue Moon Turns Red Again.   Ed era dalla fine degli ‘80 che Howland  scavava alla ricerca dello spirito più incontaminato delle radici country e delta-blues americane, prima con M.Jeffrey Evans nei Gibson Brothers poi dal 1992 con il duo dei Bassholes.  Così scrivevo nel 2000 recensendo When My Blue Moon Turns Red Again :“ I Gibson Brothers avevano scarnificato le imprescindibili roots country e blues dandone una versione bianca malata ed urbana; con Bassholes Howland invece aveva in seguito definito una personalissima visione punk-acida del blues attraverso opere seminali come Blue Roots (’93), Haunted Hill (’95), Deaf Mix vol.3 (’97) e Long Way Blues (’98).   Con When my blue moon turns red again Howland uccide definitivamente il piglio bacchettone-purista di certo blues made in ’90 consegnandoci un doppio lavoro in compagnia di Bim Thomas (drums) e Jon Whal (armonica, saxophnone, organ), trio motivatissimo dal tiro micidiale. E’ un Howland lucido, viscerale, come mai prima autore ed esecutore spiritato di sghembi blues epico-elettrici orgogliosamente punk, Virginia Valley Blues, Judge Harsh, Swimmimg Blues, Born to die……..riuscendo persino  a resuscitare lo spirito di Ian Curtis ed a fasciarlo di blues (Interzone).”

 Nel 2.000 uscì per la Sympathy For The Record Industry, The Secret Strenght od Depression, un live registrato al KSPC, Claremont nel 1997 che ripassava le intuizioni minimali degli albums degli anni ’90, in compagnia solo del fido batterista Lamont  “Bim” Thomas

Con l’omonimo Bassholes uscito da pochissimo, Howland e Thomas continuano la loro perenne peregrinazione attraverso le labels americane più integerrime, approdando alla Dead Canary del suo concittadino Lou Poster, leader e chitarrista dei Grafton ed intrecciando con lui ed il suo trio le sue vicende artistiche ( parecchi gigs insieme ; Poster e Donovan Roth che collaborano ad alcuni brani del disco).    Bassholes è opera che continua con devozione l’operazione decisamente non ortodossa di contaminazione di densi umori blues e folky con l’elettricità meravigliosamente svogliata della chitarra ed il vocalismo grezzo e chioccio di Don Howland . Il primitivismo sonoro di Howland sembra però assumere in questi  14 brani una forma più compiuta e matura, grazie anche a sapienti interventi di vari strumentisti, come negli stupendi arrangiamenti dei due traditionals, il carismatico Broke Down Engine di Blind Willie McTell e John Barleycorn (  Bo Diddley jungle-style),  nelle polemiche e perentorie Fascist Times e Hell’s Angel, nei torridi intrecci guitar-harmonica ( Pete Remenyi) di Caravan Man, nel country fascinoso ed acido di Daughter, con Carl Yaffey al banyo. 

Ed ancora incredibile contagiosissimo impeto punkoide in Purple Noon, freschezza ispirativa ed agili movenze in High Up in The Treetops per finire con la paludosa ipnotica Dingleberry Jam con le due chitarre di Howland e Derek Dicenzo.Beh, è valsa proprio la pena aspettare sette anni: Bassholes ( uscito in contemporanea con un mini-tour europeo che ha toccato anche l’Italia ) è il nuovo capolavoro di Don Howland, un’opera di certo scevra dal profondo lo-fi degli anni ’90 ma densa, sfaccettata e penetrante. 

Per vizio di completismo segnaliamo infine un solo-album di Howland  uscito per la Birdman nel 2001, The Land Beyond The Mountains e la recente antologia di 45 giri e materiale inedito Broke Chamber Music per la piccola etichetta newyorkese Secret Keeper. 

Imperdibile release della Dead Canary Records, anche se risalente al 2003, è poi Blind Horse Campaign, primo lavoro sulla lunga  distanza (dopo due singoli ed un vinile ) dei Grafton di Lou Poster, fondatore della Dead Canary. 

Da tempo non ascoltavo un sound tanto possente; i riffs della chitarra di Lou Poster sono così taglienti da far male : il tiro di I’ve Been Lookin’, Slowpoke, Sinker, Down the road, The day they ran us out of town è un cocktail micidiale di punk ed hard malato e stravolto da riportarci a certe atmosfere dei Cheater Slicks.  Poster poi ha una voce talmente grezza ed ubriaca da far invidia ad un Lemmy in stato di grazia.   Ecco, forse è proprio così che i Grafton di Blind Horse Campaign a volte suonano: dei Motorhead a stelle e strisce inaciditi o tagliati male come una droga pesante . 

L’amore di Poster per il blues e le sue radici è tradito comunque sia da un episodio breve ma significativo come l’acustico The Captain and Big Muskie , giocato ipnoticamente su un solo accordo con tanto di slide ed armonica che dal potente e perforante boogie finale di Lord Baltimore.    Credetemi : Blind Horse Campaign è un lavoro imprescindibile sia per gli appassionati di hard-punk che per quelli di noise-blues, capace di scrollarvi di dosso tanta di quella merdosa frustrazione da riempire un cassonetto.

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