Sono tre anni che Punkadeka non manca all’evento e poteva mancare proprio quest’anno in cui il cast vedeva nostre vecchie conoscenze…
Come ogni anno immagino starete trepidando d’attesa per il classico report dal mitico Sziget Festival. Sono tre anni che Punkadeka non manca all’evento e poteva mancare proprio quest’anno in cui il cast vedeva nostre vecchie conoscenze come Anti-Flag, Flogging Molly o Millencolin sul Main Stage?! Direi proprio di no…e quest’anno per la prima volta senza il mitico reporter Ga.
Quest’anno il Sziget Festival festeggia il suo sedicesimo anno e vi assicuro ragazzi sembra proprio non sentirli. Questo è stato il mio terzo Sziget e vi assicuro ho rivissuto lo spirito delle scorse edizioni e come sempre un clima a dir poco magico ed incantato dove la musica unisce i ragazzi e li fa divenire veramente un corpus unico dove vi è solo una missione: divertirsi e stare bene assieme nell’isola dell’amore.
Ovviamente poi ci sarà sempre quello che vi dirà che l’ambiente sta peggiorando (purtroppo è vero sono aumentati i francesi, ma grazie a Dio sono drasticamente diminuiti i Napoletani con la gioia di tutta l’isola!), che è rincarato tutto tantissimo (0,15 € su una pinta che costa 1,56 € non mi sembra poi questo gran furto!), che prima c’era più gente (falso e i dati lo dimostrano), che le docce sono sempre fredde (verissimo e l’ultimo giorno diventano quasi una goduria. Tornati a casa butterete lo scaldabagno ve lo giuro), ma il Sziget o lo si ama cosi come è oppure non ci si va. L’unica cosa che vi diranno di vero è che il Festival lo hanno accorciato di ben due giorni. Mentre prima era una settimana piena di concerti quest’anno è stata solo 5 giorni (più un day zero con gli Iron Maiden).
Chi non c’è mai stato penserà che in fondo due giorni cosa possono essere nell’economia di un festival. Forse di un festival è vero, ma di un Sziget sono veramente tantissimi. Equivalgono a litri e litri di alcool in meno in corpo, ad improbabili amicizie strette in fila in fronte ad un bagno chimico o ad un “kebabaro” con persone assurde provenienti da gli angoli più impensabili del mondo, a discorsi pseudo-filosofici sul non-senso della vita in compagnia di una ragazza ungherese aspettando l’alba e sorseggiando un Arany Aszok, a richieste di matrimonio dopo aver cantato “Always” di Bon Jovi di fronte a 500 persone ad un karaoke: a tutto questo equivalgono due giorni di Sziget, che quest’anno non ci sono stati e che nel mio cuore purtroppo pesano ancora.
Per quanto riguarda invece il cast ogni anno le opinioni sono sempre divise: c’è sempre quello a cui va benissimo e invece quell’altro che dice che lo scorso o dieci anni fa era meglio, questo forse fa parte dell’essere umano e non ci si può fare nulla. Il cast secondo il mio modesto parere è stato forse leggermente inferiore agli anni scorsi anche se bisogna riconoscere un maggiore riconoscimento verso la musica punk. Inoltre bisogna sottolineare come i concerti su molti palchi quest’anno iniziassero prima (il main stage che prima attaccava alle 16:30 quest’anno dava fuoco alle polveri già alle 15).
L’unica cosa che forse non mi è proprio andata giù per il secondo anno di fila è la conclusione sul main stage dei “Killers”, va bene che vi pompano e la major di turno vi spinge a manetta ma non capisco perché dobbiate costringere il popolo di un festival a sorbirvi per due anni di fila, offrendo per di più una performance anche peggiore rispetto all’anno prima (“Somebody told me” loro principale hit – forse unica?! Bah! – dura circa 50 secondi in più live). Ma andiamo al resoconto giorno per giorno.
Giorno -1
Effettivamente sembra strano iniziare già con uno zero, iniziare con il meno uno sembra assurdo ma purtroppo è cosi. Dopo essermi/avermi (dipende dai punti di vista) licenziato da lavoro il venerdi, non potevo non andare a festeggiare al Sziget questa grande vittoria. Armato di armi e bagagli mi imbarco alle 11:40 direzione Ferihegy 2 – Budapest per una settimana di intero puro sollazzo. Arrivato all’aeroporto incontro altri italiani e come al solito dobbiamo farci riconoscere. Nonostante ci contiamo mille volte per poter prendere un pulmino insieme e risparmiare ci impieghiamo più di un’ora a compiere questa operazione, scene da “scemo più scemo” veramente.
Arriviamo verso le 16 all’Isola Margherita e il colpo d’occhio è incredibile: un mare di gioventù pronta ad attraversare il famigerato ponte per entrare in Paradiso (alle porte non vi troverete San Pietro ma degli energumeni ungheresi della sicurezza che vi rivolteranno il vostro zaino come un pedalino se percepiscono che volete fregarli!). Saluto i miei compagni di Pullman e mi appresto ad entrare (queste sono le piccole gioie di noi giornalisti visto che abbiamo una cassa rapida che ci impieghiamo pochi secondi, fenomenale!).
La fila è disumana ma grazie a Dio vedo un miraggio lontano nel sole: l’entrata Vip/Press…due ore di fila evitate!
Entro, monto la tenda (sempre allo stesso posto da tre anni, strategicamente vicino a lavandini, cessi e non troppo lontano/vicino da docce ed uscite), gonfio il materassino ed eccomi pronto per il Sziget 2008. Arany Aszoc d’ordinanza seguita a rapido giro da un disgustoso Kebab poi via in giro per l’isola per una notte di ambientamento. Dopo 364 giorni d’attesa il Sziget ha inizio!!!
Giorno 0
Il giorno 0 è il classico giorno di ambientamento, quello dove cerchi di capire dove le file sono più corte per motivi oscuri (c’era un box Marlboro sempre con una fila lunghissima mentre davanti a 30 metri un bar che vendeva sigarette – con gnocche anche superiori – che era sempre vuoto. Misteri della fede!), dove magari il mangiare fa un po’ meno schifo (il giorno dopo ho scoperto che nella press area avevamo un box per mangiare che era un bijou), i palchi che hanno spostato, le nuove bancarelle, insomma cerco di crearmi una sorta di mappa mentale agevole per sopravvivere mentalmente e fisicamente al Sziget.
L’unica cosa che mi sento di sottolineare e che mi ha colpito è stato il cambiamento tra i metallari e gli italiani. Mi spiego meglio. Fino allo scorso anno il popolo “ghettizzato” dell’isola è sempre stato quello metal: gli davano la parte rossa dell’Isola e loro stavano li beati e felici a spararsi la loro musica tutto il tempo (considerate che era il primo palco che attaccava e l’ultimo che staccava!).
Quest’anno gli organizzatori hanno capito che nella scala evolutiva dell’uomo, il metallaro ha piano piano superato l’italiano per cui lo si può cercare di amalgamare con le popolazioni civilizzate mentre è necessario spostare l’italiano in un posto dove possa fare meno danni possibili. Gli italiani infatti sono stati il popolo ghettizzato.
Gli organizzatori affermano che lo hanno fatto perché gli italiani sono quelli che forse hanno più difficoltà ad integrarsi e godere delle “gioie” del Sziget (comunque su 2800 italiani oltre 1000 erano nel campeggio italiano!). Secondo me il motivo è un altro: come unanimemente riconosciuto, siamo il popolo più molesto e volenti o nolenti noi ragazzi italiani andiamo a rompere le scatole a tutte le ragazze straniere e ammetto che gli ultimi giorni diventiamo pesanti. In tutto ciò bisogna considerare il grande vantaggio per gli organizzatori di rinchiudere il 90% dei napoletani in un luogo facilmente controllabile in modo che destino il minor fastidio possibile. Verso le 20 finalmente inizia il “Sziget musicale” e sale sul palco il primo artista di calibro internazionale: Lauren Harris.
Confesso che sono partito prevenuto sulla sua performance odiando profondamente i raccomandati di qualsiasi genere ma alla fine devo dire che è riuscita a fare uno show senza infamia ne lode che ha scaldato per bene l’arena per il “paparino” che suona negli Iron Maiden. Dopo è stata l’ora degli Iron Maiden, dopo una giornata intera tra metallari che inneggiano ai loro eroi finalmente salgono sul palco.
E’ la prima volta che ho la (s)fortuna di trovarmeli in un festival per cui con tanta buona volontà me li vado a vedere. Il genere c’è poco da fare non mi piace, per onestà intellettuale però devo dire che il loro show (possiamo parlare proprio di show visti tutti gli effetti scenici di cui infarciscono la loro performance) è stato impeccabile. Cosi come sono su disco li ritrovate dal vivo e davvero non sbagliano un accordo.
Show perfetto che purtroppo però non riesce ad emozionarmi, chi nasce a pane e Ramones penso non si emozioni per fuoco e fiamme ma per musica che arriva al cuore. Purtroppo per me ma gli Iron Maiden proprio non mi toccano.
Giorno 1
Finalmente il Sziget ha inizio e per me non poteva iniziare nel migliore dei modi: ad aprire le danze ufficiali di questo Sziget 2008 ci pensano gli Anti-Flag. Con un pizzico di orgoglio li ritrovo dopo 8 anni dalla prima volta che li incontrai, e per primo intervistai, in Italia, di strada ne hanno fatta per trovarsi sui main stage dei principali festival europei c’è poco da dire.
L’attesa è tanta perché li ho sempre visti in concerti dove loro erano headliner e dove il pubblico era presente solo per loro per cui ero molto curioso della risposta della gente. Alle 14:55 mi appropinquo verso il main stage e con somma sorpresa l’arena è gia bella piena (ovviamente piena per un concerto di apertura) e si sentono i primi cori di incitazione.
I 4 di Pittsburghsalgono e attaccano immediatamente con “The bright lights of America dal loro ultimo disco” e il pubblico partecipa con pogo, salti e canti nonostante i 36° gradi e un sole battente fastidiosissimo. Vanno avanti sparati e continuano a tirare fuori pezzi dal loro ultimo disco e seguono a breve distanza “Vices” e “The modern Rome burning”. Il caldo è tanto e saltare e pogare di sicuro non aiutano a stemperarlo ma di fronte ad una performance di tale livello non si può stare fermi e il pubblico ringrazia con una partecipazione veramente esemplare.
A metà concerto incitano il pubblico al “circe pit” (prima volta che mi capita in 3 Sziget), dopo un attimo di preparazione il cerchio è pronto e loro partono con “Spit in the face” e il girone infernale parte. Non posso non ammettere che di morti e feriti per terra ce ne sono stati molti, tutti guaribili in poche birre. Il concerto va avanti e tirano fuori dal cilindro anche pezzi dei vecchi album come “One people, one struggle”, “Turncoat” e “Underground network”. Oltre alla classica line-up in questo tour hanno anche due tamburi sul palco e un coro di voci bianche che sale per due-tre canzoni. Alle 1615 concludono il concerto con il loro anthem “You gotta die for your government” e il pubblico canta a squarciagola. Concerto impeccabile di una band che si è fatta la gavetta e ora riesce a tenere sul palco uno show fenomenale senza dover ricorrere a stratagemmi da circo per attirare il pubblico.
Verso le 1630 è l’ora degliMGMT. Questi sono stati il primo mistero del Sziget, mi domando e dico: un gruppo cosi scarso come va a stare sul main stage del Sziget?! E’ possibile che nessuno abbia notato che questi sono solo l’ennesima band pompata dai giornali e che non ha nulla da dire. 10 minuti di performance e preferisco ricaricare le batterie al bar con un paio di sane birre perché dopo un’ora mi aspettano i Flogging Molly.
I Flogging Molly ormai sono quasi 6 anni che non li vedo e l’attesa per loro è tanta. Veloce cambio di palco e di pubblico (non che ce ne fosse poi cosi tanto bisogno visti che ai MGMT c’erano pochi intimi) ed ecco salire sul palco i Flogging Molly. Attaccano subito con la first track di “Float” “Requiem for a dying song” e il pubblico si sgranchisce da subito le gambe. La band è in forma e non si risparmia assolutamente, i loro anthem riesco a coinvolgere tutti quanti e un polverono infernale si alza sul main stage. Loro stessi rimangono colpiti dal calore del pubblico visto che questo è stato il loro primo show a Budapest (stessa cosa per gli Anti-Flag). Senza alcuna priorità cronologica tirano fuori i classici da tutti gli album senza far torto a nessuno. Tecnicamente perfetti e semplicemente coinvolgenti e travolgenti con una carica e un divertimento che si vede trasparire dai loro volti. Un’ora e un quarto di assoluto delirio terminato in un meritato tripudio per la band.
Dopo i Flogging Molly è stato il tour di Alanis Morisette. Secondo mistero del Sziget: come è possibile che un gruppetto di foruncolosi ragazzini come i Kooks suonino dopo Alanis Morisette?! Per intenderci, quando la Morisette ha fatto uscire il suo capolavoro “Jagged little pill” loro forse erano ancora alle elementari. Tralasciando questo dubbio amletico che mi ha accompagnato fino alle performance della Morisette devo dire che la sua performance mi ha lasciato piuttosto deluso. Questo era il secondo concerto che vedevo e mi aspettavo un approccio molto più diretto e rockeggiante piuttosto che la ricerca di sperimentazioni ove ci infila anche l’elettronica con risultati non proprio felici. Arrivo fino alla storpiatura di “Ironic” e poi decido che ne ho troppo.
Sull Iwiw World Stage (mi sono dimenticato di dire che quest’anno ogni palco era sponsorizzato da una marca diversa!) suonano i Leningrad e mi dico che forse un buon ska mi può risollevare il morale. Ed è proprio cosi, i Leningrad sono tre anni che non mi deludono e offrono il loro classico delirio di ska e musica folk russa. Mezzora goduta pienamente e un pizzico di rammarico per aver ceduto alle lusinghe delle major sul main stage.
Dopo un veloce hot-dog cerco di risolvere il secondo mio grande mistero del Sziget e vado sul main stage per i Kooks. Purtroppo questo rimarrà un grande mistero, i Kooks sono niente di più che un gruppetto di rock di provincia senza spunti innovativi o che faccia gridare al miracolo come fanno i giornali Uk. Un gruppo veramente insignificante, bravo a fare la sua parte ma che si trova a chiudere la prima giornata del Sziget solo perché dietro ha una major che li spinge a manetta. Questa è la verità e dubito che qualcuno potrà sconfessarmi. Avrebbero avuto molto più diritto ad essere li gli Anti-Flag o i Flogging Molly che quantomeno riesco a tenere un palco.
Dopo per caso mi trovo davanti all’Hammer World stage e mi addentro. Sul palco sta suonando una strana band ungherese che a dire la verità fa dell’ottimo punk rock. Mi informo con delle ragazzi locali e scopro che sono la migliore band punk Rock di Budapest e si chiamano Junkies. Mezzora di ottimo punk rock mischiato con delle accelerazioni in stile Motorhead.
La serata continua nei vari chioschi e dancehall di cui è disseminata l’intera isola e il primo appuntamento non poteva essere al mitico stand Arany Aszok dove scopro con mio grande disappunto che hanno cambiato Dj. Un dj rock cosi scarso è difficile trovarlo al mondo ma dopo 3 anni mi ero affezionato a lui e non vederlo mi ha spezzato il cuore. Non mi perdo d’animo e inizio la notte che durerà fino all’alba sfinito su di un tavolo a sorseggiare l’ultimo sorso di Palinka.
Giorno 2
L’attesa per questo giorno è molta, tra band che sono curioso di rivedere dopo anni e invece band che aspetto per gustarmi live. La mia giornata dopo le classiche due ore per rimettersi in sesto (barba, fila per la doccia, doccia, riassetto generale e colazione) parte presto con i Presidents of the United States of America.
Li aspetto da anni e per vari motivi non sono mai riuscito ad incrociarli. Capito verso le 1420 e vedo che stanno già iniziando il soundcheck. Accipicchia! Alle 1500 in punto come dei perfetti orologi svizzeri attaccano e tirano da subito fuori il loro stile cazzone e irriverente che mischia blues, punk, rock n roll e tanta stupidità da palco. Il concerto vede molti pezzi tratti da “These are the good times people” che il pubblico purtroppo non conosce ma che è veramente un ottimo disco. Dopo 30 minuti sparano la classica hit “Lump” e il pubblico va in delirio. A rapido giro segue “Mixed S.O.B.” e…il concerto finisce! Ebbene si, solamente 35 minuti di performance! Mai visto concerto durare meno nella storia dei miei Sziget; di solito le band si lamentano del breve tempo a disposizione, loro invece senza alcun problema staccano ben 45 minuti prima del curfew senza alcun apparente motivo. Confesso che loro saranno la più grande delusione del mio Sziget, una band che ho aspettato per anni che mi ha lasciato dopo solo 35 minuti di show (anche se a loro merito va la cover di “Video Kill the Radio star”).
“Machine 15” non verrà ricordato di sicuro come il miglior disco della storia dei Millencolin. Questo però non cancella i miei oltre dieci anni di militanza tra i loro fan grazie ad album come “Life on a plate” o “For Monkeys” che mi hanno portato ad amare questa musica. Il loro concerto non potevo assolutamente mancarlo. Attaccano stranamente con la prima traccia di “Pennybridge and pioneers” e questo mi predispone subito immediatamente bene nei loro confronti. La band ha un atteggiamento più rock che punk sul palco c’è poco da dire, comunque si vede che sanno fare uno show.
Ottima performance delle spalle di Nikolas che saltano e interagiscono tutto il tempo con il pubblico. Essendo il tour promozionale di “Machine 15” non potevano non suonare almeno 5-6 pezzi da quel disco ma fortunatamente sono andati a pescare le più orecchiabili e ballabili come “Detox”, “Vicious circle”, “Broken world” o “Who’s laughing now”. Devo riconoscere che non hanno fatto come molte band e hanno omaggiato i loro fan di vecchia data tirando fuori, oltre che le hit dal precedente “Kingwood”, pezzi come “Lowlife”, “Material boy”, “Bullion”, “Fox”, “21”, “Penguins and polarbears” e la splendida “Lozin Must”. Ottima concerto per i Millencolin, anche se confesso i primi 15 minuti di disappunto perché con gli occhi della nostalgia speravo di rivedere sul palco la band che aveva inciso “Same old tunes”, una volta appurato che quella band non esiste più non potevo che non godermi quello che ora sono i Millencolin: una ottima Rock (senza punk prima) band.
Anche oggi il caldo la fa da padrone per cui mi rifugio in uno dei tanti bar dell’isola per ricaricarmi prima della serata. Alle 1945 il cartellone prevede i Kaiser Chiefs e malvolentieri mi avvio verso il main stage.
Questi fenomeni da “magazine uk” il più delle volte celano il vuoto più assoluto (gli MGMT ne sono un esempio!) per cui non è che avessi grandi aspettative, nonostante il precedente disco “Employment” avesse avuto degli ottimi singoli. Ebbene si, questa volta mi sono dovuto completamente ricredere perché i Kaiser Chiefs hanno offerto veramente un ottimo show. Musicalmente ovviamente possono piacere o non piacere, ma sarebbe ingiusto non riconoscergli ottime doti live che grazie anche a catchy melodie riescono ad accendere ed infiammare il pubblico. Canzoni come “I predict a riot”, “Everyday I love you less and less” o “Na na na na na” non possono non coinvolgerti. La loro è stata 1 ora un quarto di veramente ottimo rock n roll, forse un po’ modaiolo, ma sicuramente coinvolgente e di ottima fattura. Una bella sorpresa che mi ha ripreso dalla delusione dei Presidents.
Un dubbio amletico dopo i Kaiser Chiefs: andarsi a vedere i Che Sudaka dall’Argentina sul Converse Wan2Stage oppure farsi vincere dalle lusinghe di Jamiroquai?! Cinque minuti di dubbio mi hanno preso ma alla fine lo spirito del Sziget ha vinto e mi sono avviato verso il Wan2. La sala purtroppo non è strapiena (e cosi sarà fino a fine concerto!) ma la gente e calda e inizia a intonare gli anthem dei Che Sudaka. Intro fatto dalla prima traccia dell’ultimo disco “Mirando el mundo a reves” (un capolavoro di Patchanka/Ska in pieno stile Mano Negra!) e la band sale sul palco e come il miglior Manu Chao dopo un pezzo tra il gitano e il latin ska tirano fuori la furia del patchanka e la gente inizia letteralmente a impazzire in salti e balli. Una tenda completamente in festa e nonostante dentro facessero sicuramente più di 35 gradi e l’aria era irrespirabile il pubblico partecipa dalla prima all’ultima canzone.
Piccolo disappunto perché dal vivo non hanno i pezzi elettronici che hanno su disco ma grazie al fomento che ti riescono a trasmettere si fanno decisamente perdonare. Pezzi come “Bam bam” o “Alertha Bihotza” mandano il delirio il pubblico che esplode in cori e balli tutto il tempo. E’ stato forse il concerto più bello che abbia visto al Sziget perché in quella tenda anche se saremo stati a malapena 800, a fine concerto ci conoscevamo tutti e non importa se eravamo italiani, svizzeri, spagnoli, francesi, austriaci, tedeschi o ucraini, in quel momento eravamo veramente una sola anima ed un solo corpo e il divertimento che era palpabile in quell’arena non lo ho mai visto in nessun altro stage (vuoi anche perché una dimensione cosi ristretta permette un altro tipo di interazione). I Che Sudaka propongono un’ora di concerto e credetemi se vi dico che ne risentirete presto parlare di questa band che sarà degna erede del grande Manu Chao.
Riesco correndo a godermi gli ultimi quindici minuti di Jamiroquai e per quel poco che vedo il suo è uno show impeccabile, splendida scenografia e anche ottimi suoni. Non nascondo che in alcuni momenti il dubbio che vi fosse qualche aiutino a questa performance mi è venuto, veramente troppo perfetto. Riescono a godermi solamente “Canned Heat” e “Deeper underground” ma l’impressione che ho avuto è stata delle migliori. Buona performance anche per Jamiroquai.
Ma la notte è ancora giovane e decido di fidarmi dei consigli di una ragazza francese che mi dice di non perdermi il dj Jack de Marseille nella Mastercard Arena. Aveva ragione, grande dj set per il francese.
…continua.