SZIGET FESTIVAL 2007 – Parte I

Ormai lo sanno anche i sassi: da tre anni a questa parte per me “Estate” è sinonimo di “Sziget Festival”. Per una settimana, su un isola nel centro di Budapest, si scatena un inferno di “sex, drugs nd rock’n’roll”…

SZIGET FESTIVAL
8 – 15 Agosto 2007
Obudai Island, Budapest, Ungheria

PARTE 1
…7 giorni, 24 ore al giorno una non-stop devastante di macello, con un cast di gruppi STELLARE e un contorno di attività extra musicali che serve a riempire la giornata in attesa dei concerti.
Gli anni scorsi il mio report dallo Sziget è stato fatto giorno dopo giorno, alternando musica e attività varie…quest’anno il report sarà sempre diviso in due parti ma eviterò la suddivisione in giornate, visto che il quantitativo di musica da me “ingerito” è stato minore degli altri anni, in favore di altre attività meno interessanti per i lettori di Punkadeka.

Si parte il GIORNO 1, sul Main Stage nel corso della tarda mattinata, il soundcheck di Manu Chao attira centinaia di curiosi che assistono ai lavori, e alla fine il buon Manu e la sua band regalano un paio di pezzi in anteprima, facendo scoppiare il pogo alle 13.00 del pomeriggio, anticipando un concerto che sicuramente sarà grandioso.Alle 16.30 aprono la giornata gli storici Nitzer Ebb col loro industrial molto groovy ma anche molto scarno e ripetitivo, attirano l’attenzione di fans fedelissimi e scatenati che danno il calcio d’inizio in maniera assolutamente degna al festival. Nel corso del pomeriggio percorro un po’ su e giù l’isola per cercare di vedere cosa è cambiato dall’anno scorso e cosa è rimasto uguale…giusto il tempo di un Vegetarian Mix al ristorante indiano ed è tempo di raggiungere le prime file, sul palco del Main stage sta salendo Manu Chao e scoppia il delirio. Per uno come me cresciuto col mito dei Mano negra anche solo vederlo materializzarsi sul palco è emozionante…figurarsi poi quando spara Casa Babylon, Malavida, o Radio Bemba (che non è altro che “Mano Negra” leggermente modificata). Tra Reggae e improvvise accelerazioni punk, un tocco di ska e una patchanka di salsa e rock 50.000 persone ballano come pazzi e si tocca l’apice del parossismo con Que pasa, Que paso e la conclusiva King of the Bongo

 Il GIORNO 2 iniziano le ardue decisioni: la contemporaneità tra Soulfly e Chemical Brothers mi obbliga a fare le corse per perdermi meno canzoni possibile della band di Cavalera. Nel pomeriggio solito ottimo concerto del reggae-man tedesco Gentleman, ormai di casa qui allo Sziget, davanti ad una folla immensa di teenagers tedesche. La sera mi sistemo bello comodo sui tavolini del backstage, ordino una birretta al cameriere e mi preparo a seguire i fratelli chimici bello comodo. Peccato che dopo metà birra tutto il backstage è in piedi a ballare esattamente come davanti al palco sulle note scatenate di “Do it again” (con un pagliaccio inquietantissimo proiettato sui megaschermi) e della mitica “Hey boy, hey girl”. Quando l’elettronica inizia a diventare un po’ pallosa e sento il bisogno di un pò di chitarroni violenti mi reco al palco metal, è pieno all’inverosimile, e i Soulfly sembra stiano spaccando il culo. Dico sembra perchè c’è un sacco di fumo sul palco e non si vede un accidente. Il concerto mi annoia alquanto devo dire, daltronde i soulfly non hanno molti pezzi veramente buoni, sono sul piatto andante…unico momento veramente buono: la cover di “Roots, bloody Roots” (e come potrebbe essere altrimenti?). Dopo il concerto mi reco al tendone ska-punk-rock e chi incrocio per caso totale? Ma si, proprio lui: IL TAMBURLONE NAZIONALE!! Mezza redazione di Punkadeka riunita allo sziget! Grande Tamburlini!


GIORNO 3: Il giorno dei grandi concerti. Mi installo nei pressi del Main stage e non mi schiodo più, aprono la giornata i Gogol Bordello con un concerto molto simile a quello proposto in Cascina Monluè a fie Luglio: il batterista è nettamente migliorato, il bassista nuovo è grandioso, e i due creano un groove molto trascinante, è impossibile stare fermi sulle note di pezzi che sono ormai anthem come “Sally”, “It’s not a crime”, “Start wearing purple” e la conclusiva lunghissima “Baro Foro”; anche le nuove “Wonderlust king” e la opener “Ultimate” iniziano ad essere amate. L’anno scorso ribaltarono 3.000 persone al Wan2 Stage, quest’anno hanno davanti 30.000 persone, ma il risultato è lo stesso. Dopo di loro la techno di Laurent Garnier non mi interessa, passo quindi direttamente ad uno dei concerti da me più attesi: Pink. Non fate quella faccia cari punkadekiani, lo so che anche voi vi canticchiate “Just like a pill” quando siete da soli nella vostra stanzetta e nessuno vi sente. Il concerto di Pink è semplicemente GRANDIOSO! Butta via tutti gli orpelli pop e presenta una scaletta mega rock; marcia sul palco sulle note di “Cause i can”, tutta vestita di pelle nera, e da li si capisce che è li per spaccare i culi. Solo il gesto di levarsi gli occhiali manda in visibilio il pubblico, e quando parte il ritornello di “Trouble” parte il macello sotto il palco. Durante la cover di “Piece of my heart” Pink dimostra di avere una voce semplicemente devastante, l’esecuzione è perfetta e spedisce brividi lungo la spina dorsale. Chiusura con “u + ur hand” e “Get the party started” ovviamente. Grandissimo concerto!
E dopo di lei…la leggenda si materializza sul palco: i Madness all’urlo di “ONE STEEP BEYOOOND” ribaltano il pubblico del mainstage coinvolgendolo in balli ska sfrenati col tipico aplomb del perfetto gentleman inglese di mezza età. “Our House”, “My girl”, “House of fun”, “B&B Man”, “Lovestruck”, la cover di “Out of space” (quella ripresa anche dai Prodigy), è commozione con “Wings of a dove” e “It must be love” e danno il colpo finale ad una platea drammaticamente esausta “Madness” e “Night boat to Cairo” costringendola a dare le ultime stille di energia per una band che intorno ai 50 anni rompe ancora il culo come quando ne aveva 20.

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