Oggi lascio la parola al mio secret contributor, prima però vorrei dire quanto mi sono divertito, quanto è stato bello rivedere un sacco di amici, riabbracciarvi tutti uno ad uno, e quanto è stato bello vedere l’ennesimo grande spettacolo da “insider” grazie alla webzine sulla quale scrivo, e grazie al mio amicissimo Sal, che anche oggi è stato un tesoro, aiutandomi in diverse cose. Voglio fare i complimenti ai gruppi che hanno suonato, ai tecnici, ai ragazzi del bar (uno si è offerto di tenermi il casco, grazie) e ultimo ma non meno importante, a chi ha organizzato questa serata, va bene le critiche e ci stanno tutte, ma a mio avviso i complimenti sono importanti ed in questo caso dovuti, ma tanto te l’ho già detto di persona amigo (e bravo che hai smesso di fumare).
In molti l’attendevano da ben due anni questo giorno, e io tra questi spinto in più dalla voglia di buttarmi alle spalle una settimana personalmente molto difficile, parto con il resto della crew direzione Social Distortion.
Ci lasciamo dietro una fredda e bagnata mattina di fine maggio e via verso il Milano già al primo pomeriggio. Le chiacchiere del viaggio sono le solite, si spazia dai racconti di chi è stato all’ultimo Punk in Drublic, al concertino in spiaggia del week end, passando per i racconti del PunkAday a Bologna. Ci si chiede che scaletta faranno Mike e Soci per questo 40+2 e non sono pochi i dubbi sul Carroponte per acustica e servizi. Resto positivo, perché seppur non potrò prendere parte attiva lì in mezzo al pogo dove è solito vedermi, mai avrei immaginato fino a qualche sera prima di riuscire a partecipare a questa trasferta.
Pausa veloce in autogrill e poi in me che non si dica siamo alle porte di Milano, destreggiandoci come abili prestigiatori nel traffico della city, in poco tempo raggiungiamo il Carroponte.
Sono circa le 18:30 e i Viboras stanno già facendo gli onori di casa. La band ormai sa bene come alzare il livello e i volumi fin da subito in queste occasioni: capitanati da una più che mai carica Irene, a cui si accompagna l’esperienza di Sal e la voglia di divertirsi degli ultimi entrati (Gabri al basso e Marcello alla batteria), sfoggiano uno dopo l’altro i loro migliori pezzi, dando un maggior risalto a quelli più recenti. Chiudono in una mezz’oretta buona uno show che sarebbe potuto andare avanti anche un altro bel po’.
Nel frattempo che sempre più gente prova ad accaparrarsi un posto in prima fila, cercando stratagemmi di ogni tipo per mantenere quel posticino arduamente conquistato (una volta ero uno di loro), sul palco fanno il loro ingresso i Lovebreakers. La giovanissima band di Birmingham (Inghilterra), nata poco meno di 5 anni fa e di chiara scuola “Greendayiana” (passatemi il termine), porta sul palco del Carroponte quel pop punk di ultima generazione dalle chiarissime influenze d’oltreoceano ma a tratti fin troppo lenti e smielosi per i miei gusti. La band comunque riempie bene lo spazio a sua disposizione richiamando sotto il palco anche i più giovani, mentre vedo punk e rockers di vecchia data approfittarne per fiondarsi al bar timorosi forse delle lunghissime file del week end precedente Lo spauracchio è scongiurato, sarà che la gente è ancora poca, sarà il maggior numero di casse e spillatrici di birre operative, ma siamo lieti di vedere che tutto funziona senza intoppi. Approfittando di un’acustica definirei perfetta dopo le molteplici esperienze al Carroponte, ne approfitto per un giro al merch, ma la scelta non è delle più felici, prezzi esagerati e scelta più che mai imbarazzante… 4 magliette per 4 band… Nessun vinile, nessun cd da portare a casa (A parte quello dei Viboras). Da rivedere, contando che essendo la prima data del tour dopo 2 anni ci si aspettava di più. Molto probabilmente c’era più ampia la scelta ai magliettari abusivi all’uscita.
Il tempo scorre, e tra un saluto e un abbraccio nel rivedere amici dopo tanto tempo, mentre il sole tramonta alle spalle del grande palco, ecco fare il loro ingresso i Grade 2! Il giovanissimo trio inglese attivo dal 2013 ed entrato nel 2019 sotto la Hellcat Records di Tim Armstrong dei Rancid, sarà sicuramente una delle note migliori di tutta la giornata: con un combat street punk che ricorda in alcune parti proprio primissimi Rancid e una tenuta del palco fatta di continue inversioni di posizione tra Sid (basso e voce) e Jack (chitarra e voce) che rimanda agli Anti-Flag. La band ci mette un po’ a far carburare il pubblico, ma con il passare dei minuti riesce a portare sotto il palco i primi accenni di pogo sulle note di “Dover Street”, per poi crescere nettamente sul finale. Un’ora scarsa, ma quanto basta per farsi apprezzare ancora una volta: personalmente, infatti mi era capitato di vederli già nel 2018 in quel di Londra in apertura agli Interrupters, e seppur i grandi palchi forse non siano ancora il loro ambiente più congeniale (ne è prova il live all’XO di Magenta la sera prima, dove han spaccato), va sottolineato i grandi passi fatti dalla band nonostante i due anni di fermo. Segnatevi il loro nome e il loro ultimo l’album “Graveyard Island”, sentiremo parlare sempre più di loro in futuro.
Bisognerà attendere invece circa trenta o forse quaranta minuti di cambio palco per lo show più atteso da tutti. Sono infatti, passate da poco le 21:30 quando sulle note di “Road Zombie” sale sul palco l’attesissimo Mike Ness. In completo jeans scuro, accompagnato dall’immancabile Gibson Les Paul color oro, con il volto coperto da bavaglio stile gangster e gran coppola anni 20 a coprirgli la fronte ma che lascia intravedere quegli occhi di eterno ragazzo spara quella cartuccia di “So Far Away” direttamente sul pubblico presente, senza alcun indugio. Seguono subito a ruota “Bye Bye Baby” e “I Wasn’t Born to Follow” prima di sentire le sue prime parole di ringraziamento per i tanti presenti, che gli danno l’opportunità di essere ancora lì sul palco.
Lo show dei Social Distortion parte davvero alla grande, e a parte un minimo intoppo con le chitarre, prosegue su altissimi livelli per tutto la sua durata senza subire il minimo cedimento: Una dopo l’altra come una mitragliatrice vengono sparati colpi del calibro di: “Bad Luck”, “She’s a Knockout”, “Another state of mind”. La gente risponde a ogni singola nota, cantando a braccia larghe in su canzoni ben conosciute, e tra chi vola nel pit, chi scatta foto, chi riprendere dai punti più disparati, io dopo i primi pezzi vissuti li davanti trovo una posizione più defilata, per una volta lontana dal pogo, ma a lato del palco da dove poter godermi uno show davvero perfetto in ogni punto: tra l’acustica del Carroponte sopra le aspettative, luci altrettanto perfette e pubblico tanto coinvolto e a dispetto di precedenti occasioni.
Mike e soci trovano anche il tempo di interagire con il pubblico, scherzando sull’età di molti dei presenti e ammirando la gran partecipazione nonostante sia lunedì sera e il mattino seguente toccherà andare a lavoro.
Nella scaletta proposta trovano spazio “Machine Gun Blues” e “California (Hustle and Flow)” due dei miei pezzi preferiti dell’ultimo lavoro (Hard Times and Nursery Rhymes) e addirittura ben tre inediti “The Way Things Were”, “Tonight” e “Born to Kill”, che si presume saranno inclusi in un prossimo album. Immancabili hit come “99 to life” e “Don’t drag me down”, il pubblico rimane abbastanza interdetto e con qualche piccola delusione nel veder lasciati fuori singoli come “Sick boy”, “Mommy’s Little Monster”, “I was wrong”, “Where the angels sing”, “Prison bound”, “Ball & Chain”, “Reach for the sky”, mentre trovava spazio la cover “Wicked Games” di Chris Isaak, rivisitata in uno stile più punk rock.
I Social Distortion chiuderanno infatti lo show da li a poco con i due immancabili grandi classici di “Story of my life” e “Ring of Fire” eseguiti in maniera perfetta sotto l’entusiasmo dilagante di tutto il pubblico.
Un totale di 18 brani per un’ora e mezza di live non basteranno mai a racchiudere l’intera storia dei Social Distortion, ma ci lasciano la garanzia di un Mike Ness e di una band in piena forma che continuerà a portare in giro per il mondo ancora per molto tempo quel punk rock che miscelandosi al blues e al country americano è diventato davvero unico nel suo genere.