SLAM DUNK ITALY 2023 DAY 2 (Bellaria, 2 giugno 2023)

Lo Slam Dunk per me (Matt) è stato una figata assurda, anticipo che ero qui per vedere i Rancid e, finalmente, fotografarli da vicino, conoscevo pochi degli altri gruppi che hanno suonato, togliendo i miei fratellini Erezione Continua, i Rumatera, ed i Less Than Jake, diciamo che ero li principalmente per i ragazzacci di Berkeley e gli Anti-Flag, anche se per Justin e soci secondo me la dimensione migliore è il piccolo club, ma ciò non toglie che hanno rotto il culo comunque, sarà perché li adoro, ma mi sono piaciuti anche senza Pat Thetic. Comunque mi sono divertito un mondo, col biglietto potevo entrare dalle 15, ma avendo anche il pass da fotografo sono entrato prima e mi sono goduto la classica quiete prima della tempesta con l’area vuota, ho rivisto persone che non vedevo da anni e conosciuto tantissimi kidz, anche in fila al cesso, ho fatto amicizia col butta più grosso e l’ho anche fermato quando gli animi si sono scaldati un attimo, mi sono goduto i Rancid fino in fondo con tanto di “i love you” a Tim con un “me too!!” come risposta, potrei raccontarne di ogni, ma senza quelle sante delle mie donne non avrei potuto fare niente, e tra l’altro era anche il compleanno di mia moglie, e come sempre data la sua incredibile generosità il regalo l’ha fatto lei a me; passo la palla al mio amico e collega Penta per un racconto dettagliato dei gruppi.

(Penta)

L’estate al mare dei grandi nomi del punk rock è arrivata con largo anticipo quest’anno su quanto previsto. Complice infatti una collaborazione tra Hub & Slum Dunk Records è giunta nella riviera Romagnola la prima edizione italiana dello storico Festival britannico che da circa vent’anni si svolge nella città di Leeds.
Una due giorni + uno di preshow che hanno visto nomi di rilievo animare la piccola cittadina di Igea Marina (non nuova poi a giornate di questo tipo, visto che sempre nella stessa area si svolte il Bay Fest ad Agosto).
Tra i Sum 41 accompagnati da Zebrahead, Stand Atlantic, Naska e gli altri che hanno scaldato la serata del 1 Giugno e gli Offspring che con Simple Plan, Billy Talent, Codefendants e altri artisti hanno fatto un sold out granitico con diverse settimane di anticipo, l’attenzione di molti noi vecchi punk rockers era tutta rivolta sulla giornata di mezzo: quella del 2 Giugno che oltre agli amati Less than Jake, Anti Flag, Bronx, Bowling for soup, vedeva il grande ritorno dei Rancid in Italia da headliner a distanza di 20 anni dallo storico Indipendent Day Festival del 2003.
Perse per motivi di lavoro e con un pizzico di rammarico le prime band (Erezione Continua, Destroy Boys, Veneregommosa, The Bronx, Charlotte Sands) eccomi arrivare sotto il palco giusto in tempo per l’inizio dello show dei Less than Jake.

Qui subentro io (Matt) per dire che gli Erezione Continua hanno avuto l’arduo compito di aprire le danze sul palco grosso, cosa che non ha minimamente impressionato i ragazzi, che hanno fatto un gran concerto e scaldato a modino il pit, idem peri Destroy Boys e la loro iconica cantante, non li conoscevo ma il primo circle pit è per loro, ottimi i Veneregommosa, una delle scoperte migliori della giornata, e molto bene anche i Charlotte Sands. I Bronx li conoscevo solo di fama, devo dire che sono stati tra i più potenti della giornata, una bomba atomica.

LESS THAN JAKE
Posizionati al tardo pomeriggio, la band di Gainesville dimostra di essere a suo agio con le calde temperature che richiamano quella della loro Florida. La band capitanata da Chris e Roger arriva sul palco sulle note della marcia imperiale di Star Wars e sfodera come spade laser il proprio ska punk tra pezzi veloci e graffianti e altri più leggeri e melodici, il tutto con l’immancabile leggerezza e un esperienza trentennale. “Gainesville Rock City”, “Last one out of liberty city”, “The science of selling yourself short”, “All My Best Friends Are Metalheads”, “History Of A Boring Town”, “Johnny Quest Thinks We’re Sellouts” e il sing-along “Look What Happened”, sono solo alcuni dei brani proposti nei trenta minuti e poco più a disposizione, durante i quali sul palco si accende una vera e propria festa che coinvolge velocemente tutta la gente nel pit con la relativa conseguenza di far alzare un polverone di sabbia che non accennerà a calare nemmeno quando la musica si fermerà tra un pezzo e l’altro. Uno show breve si, ma intenso e che basta alla band per rifarsi di quella prova sottotono di 5 anni prima, sempre nello stesso palco del Parco Pavese, durante il Bay Fest.

RUMATERA
Mi perdoneranno i Rumatera se mi sono dovuto perdere il loro show, ma quei venti minuti a disposizione sono andati completamente persi per riprendermi dalla sabbia tirata su nei primi 30 di festival. Il loro concerto lo seguo a distanza all’ombra degli alberi del Parco Pavese tra sorsi di acqua, birra e qualche chiacchiera nella vana speranza di riprendere energie per “next mosh” che seguirà da li a poco. La band Veneta, non più attiva come qualche anno fa, si fa comunque ben sentire anche da chi non si è spostato nella zona Beky Bay: con il loro marcato dialetto veneto e l’irriverenza di eterni Peter Pan, portano una ventata di entusiasmo che miscela i sapori di una festa da paese con l’energia di un aperitivo in spiaggia, ovviamente tutto in salsa punk rock.

ANTI-FLAG
Ormai di casa qui a Igea Marina, gli Anti Flag, dopo lo strepitoso Pool Party della scorsa estate tornano a calcare il grande palco mentre il sole ormai al tramonto infuoca il grande backdrop di “Lies They Tell Our Children”. La band senza farsi troppi preamboli parte subito decisa e spinge forte sull’acceleratore con “Die for the Government”, “Broken Bones”, “This Is the End”, “The Press Corpse”, concedendosi davvero poco spazio per sottolineare i temi portanti dei loro testi. Uno dopo l’altro i pezzi più conosciuti si susseguono, con l’inserimento di alcuni ultimi singoli come “American Attraction” e “Laugh, Cry, Smile, Die”, in una scaletta pressoché ottima, ma con poche sorprese rispetto alle ultime esibizioni, se escludiamo il classico medley che per questa occasione si arricchisce di un veloce omaggio agli headliner della giornata con “If I Fall Back Down”. Justin e Chris conquistano senza dubbio la scena, ma a mio parere continuo a pensare che la mancanza del carisma di Path dietro le pelli durante i tour si faccia un po’ sentire. Va comunque fatto un applauso ai quattro per essere riusciti a tenere in mano il pubblico anche quando si son visti costretti a fermare il loro show per permettere allo staff sanitario di portare soccorso al malcapitato ragazzo svenuto durante il circle pit (forse per la polvere, forse per il caldo o qualche colpo preso male). Uno show che se non passerà alla storia per unicità, ma si farà ricordare per aver lasciato i presenti ben accaldati, e ancor di più ben impolverati di sabbia per il resto della serata.

PUNK ROCK FACTORY
Finito lo show della band di Pittsburgh mi sposto di corsa sul palco del Beky Bay per quello dei Punk Rock Factory. La band inglese attiva da circa 10 anni, ma sconosciuta ai molti presenti, negli ultimi anni ha nettamente spopolato sui social con le cover in versione punk rock delle sigle dei cartoni animati e di alcuni pezzi pop internazionali. Personalmente scoperti grazie a una soffiata di una mia amica Londinese, in modo del tutto casuale persa l’opportunità di vederli dal vivo in Inghilterra per via del covid nel 2020, mi ritrovo finalmente a vedermeli per la prima volta proprio qui in casa. Le alte aspettative da parte di questi “Four idiots that make DIY Punk Rock covers” vengono ben rispettate per voce, tecnica, suono e soprattutto entusiasmo, ma lasciano un po’ di amaro in bocca per una scaletta a mio avviso non del tutto vincente. Se è vero che su pezzi come “Let it go (di Frozen)”, “Mighty Morphin Power Rangers”, “Spongebob Squarepants”, “Under the sea (di La Sirenetta)” la risposta del pubblico è davvero eccezionale per essere sul palco B e altrettanto da considerare che su pezzi che in Italia conosciamo in tutt’altro modo l’entusiasmo e la presa sulla gente si perda nonostante l’inserimento di intermezzi divertenti con tanto di gonfiabili ma che sembrano scopiazzati dallo show degli Zebrahead. E pensare che sarebbe bastato davvero poco per ribaltare l’intera area Beky con l’inserimento delle cover di “Supercalifragilisticexpialidocious (di Mary Poppins)”, “Ducktales”, “Darkwing duck” ma anche la stessa “Mamma Mia” degli Abba. Pezzi che avrebbero trovato senza dubbio più coinvolgimento da parte del pubblico italiano rispetto forse alle ben più recenti “We Don’t Talk About Bruno (da Encanto)”, How Far I’ll Go (da Oceania). Considerando poi di essere in un Festival Punk Rock non sarebbe stato certo un offesa andare a pescare da “Scene This?” pezzi come 1985 dei Bowling for soup che sarebbero seguiti da li a poco, o altri ben più conosciuti come “Sk8er Boi” e “The Anthem” sempre non volendo osare su pezzi come “Last Resort” dei Papa Roach o “How you remind me” dei Nickelback. Brani che vi consiglio di ascoltare se dal vivo la band non vi avesse ancora convinti, ma se in fondo siete dei punk non troppo cresciuti per prendervi sul serio. A dicembre ci sarà infatti l’occasione di rivederli in quel del Legend Club di Milano.

FRANK TURNER & THE SLEEPING SOULS
Immancabili ormai in ogni festival “Frank Turner & the sleeping souls” salgono sul palco quando sono le 21:00 quasi a voler regalare una pausa ai vecchi punk rockers che rischierebbero di non arrivare ai Rancid. Sarà solo un caso che compaiano sempre all’orario di cena? Non saprei, ma sta di fatto che come al solito passo il tempo del loro show tra una chiacchera e una birretta in piacevole compagnia di lontani amici che si ha l’opportunità di rincontrare in queste serate. Non me ne vogliano ancora una volta i loro fan (tantissimi a giudicare dalla presenza sotto il palco) se non riesco ancora a comprendere come quel loro sound incentrato sulle chitarre acustiche riesca a ritagliarsi spazio cosi forte in un festival nettamente punk rock. Qualche mio amico prova anche a convincermi del potenziale di brani come “Get Better”, “Non Serviam” oppure “Four Simple Words”, ma senza riuscirci. Quando infatti chiudono con “I still believe” io sono già da un pezzo al palco del Beky Bay, pronto per uno show completamente diverso.

BOWLING FOR SOUP
Mi sposto al palco del Beky Bay con largo anticipo per quella che senza dubbio è una delle band più attese della giornata. Infatti, nonostante i circa 30 anni di carriera (come sottolineato diverse volte durante lo show) questa è la prima volta in Italia per i Bowling for Soup. I quattro salgono sul palco quando manca poco alle 22 e rimangono decisamente sbalorditi nel notare che così tanti italiani li conoscessero. ll nutrito pubblico infatti riempie l’intera beach area, e poco si interessa ad accaparrarsi le prime file per lo show finale dei Rancid. Un po’ invecchiati ma decisamente identici a come li ricordavo dalle foto sulle riviste di inizio millennio, portano quella ventata di spensieratezza condita con tanta ironia da continue battute e gag esilaranti. Con quel sound marcatamente degli anni 2000 riescono a proiettarti come per magia nella più classica delle feste da college stile American Pie. Dall’inizio con “Almost” e “High school never ends” per poi proseguire con “1985”, “Emily”, “Girl all the bad guys want”, “Ohio (Come back to Texas), la risposta del pubblico ai texani è davvero eccezionale: il pit si anima come non mai tra pogo e crowd surfing mentre sul palco due della crew travestiti da scimmia e banana portano il delirio con tanto di banane gonfiabili lanciate sul pubblico alle prime file e giunte addirittura ai presenti più placati delle retrovie che complice l’assenza del polverone di sabbia si godono lo show con non pochi sorrisi nostalgici. Il live si chiude nel giro di un circa 45 minuti e con la promessa di un ritorno, senza dubbio attesissimo anche nei piccoli club per uno show ancor più ricco: quello dei BFS dopotutto si è rivelato uno show vincente in tutti i suoi aspetti, ma cosa ancor più bella ci ha ricordato quanto possa essere semplice tornare adolescenti per una sera.

RANCID
Sono circa le passate da poco le 22:30 quando sul main stage accolti dal forte boato della folla che riempie fino in fondo il Parco Pavese salgono i veri e attesi protagonisti della giornata. I Rancid, alla prima da headliner in Italia dopo 20 anni, attaccano subito senza tanti convenevoli con la nuova “Tomorrow never comes”. Il tutto fa presagire che da lì a poco seguiranno i pezzi estratti dall’ultimo omonimo album in uscita proprio in questa giornata, ma la band ci spiazza subito ed ecco farsi largo alcuni dei pezzi più amati di “And out come the wolves”. “Roots Radicals”, “Maxwell Murder”, “The 11th hour” e “Journey to the end of the east bay” con l’intrusa “Radio” da “Let’s go” regalano un inizio cosi sorprendete che neanche a metà degli anni 90 ci si sarebbe potuto aspettare di meglio. Tim e soci attingendo da ogni loro singolo album, iniziano a tirare fuori una dopo l’altra perle che ripercorrono la trentennale carriera passando da “Dead Bodies” a “Black & Blue”, da “East Bay Night” a “Bloodclot”, da “Ghost of a Chance” a “Rejected” (solo per citarne alcune) mentre il pubblico nel pit non smette un attimo di pogare e fare crowd surfing con la conseguente ciminiera di sabbia che si alza fino a superare i riflettori più in alto. Tanto lo spazio dato a pezzi di “Let’s go” come “Side Kick”, “Salvation”, “Gunshot” e “St. Mary”, mentre viene lasciato incomprensibilmente fuori dalla festa “Honor is all we know” (A mio avviso un minuto per “Face up” o due per “Power Inside” lo si poteva trovare, dato i tre poi spesi per una b side come “I wanna riot”). Accompagnati da tutti i presenti che ben conoscono a memoria canzoni come “Listed M.I.A.”, “Old Friend”, “Olympia WA” e “The wars end” i quattro punkers sul palco continuano ad alternarsi alla guida dei pezzi riuscendo a trovare un’alchimia mai vista prima d’ora: la carica di Branden alla batteria, il senso del ritmo di Matt Freeman al basso, la velocità nei riff di Lars e la voce avvolgente di Tim si fondono in quel sound unico in grado di miscelare il punk puro con lo ska, il reggae e il rock. La chiusura finale da fuochi d’artificio con “Tenderloin”, “Time Bomb” e “Ruby Soho”, dopo un’ora abbondante di concerto, mette fine a una giornata ricca di emozioni. E si va via dal pit con le ossa rotte, impolverati dalla testa ai piedi e bagnati fradici di sudore, qualche fortunato addirittura con la scaletta o un plettro ma tutti e dico tutti, con quel sorriso e quella gioia di un bambino davanti ai doni di Natale.
Ah si, quasi dimenticavo… Mancano le considerazioni finali sul festival! Ma…Il report questa volta l’ho incentrato unicamente sulle band e sul pubblico nel pit per accompagnare le foto dell’amico Matt Murphys, e quindi le lodi e le polemiche (le solite poi) sul festival o sul contorno le lascio al bancone del bar.

 

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