Il trio di Bordeaux Sincabeza guidati da Philippe Rey (chitarra) debutta con un album interamente strumentale sempre per la Distile Records.
Difficile da etichettare perché sfuggente e mutevole, basato com’è su strutture e segmenti strumentali di un sapore math-rock
(più che post-rock) europeo poco debitore a formazioni americane come Shellac e Dom Caballero. Ed incastonati l’uno nell’altro come un puzzle inestricabile.
Le armonie sono molto ondivaghe e la titano parecchio in brani come Suce ma bete. Dimanche Martin, O 4, …Ni les équations,polverizzandosi in alchimie ritmiche a volte un po’ cervellotiche. Tuttavia una poesia tenue e struggente priva di parole traspare dalle trame delicate di 0 4.
Altrove, in …Ni les équations è una martellante ripetitività minimale gravida di continui stacchi ritmici a comunicare alienazione e masochismo di una ricerca sonica che si autofrattura con metodo seriale rigenerandosi in anfratti ritmici angusti e pericolosi.
L’intesa tra i tre è notevole, anche nei momenti più disarticolati e densi.
Bandit Manchot allarga a dismisura le maglie aconfinando all’inizio in una sorta di free-form jazz per poi rientrare nel solito tormento/estasi di fraseggi seriali ipnotici colmi di micro-variazioni sul tema.
La breve Non, Rien allenta notevolmente le tensioni accumulate con schizzi di note di un nostalgico bandoneon.
Waar het on gaat a sorpresa cerca la melodia mutante come in certe opere canterburiane di Hatfield And The North e National Health; e chiude splendidamente su un lungo anello melodico in progressione (xilofono, chitarre, basso…) di rara e potente bellezza che non avrebbe sfigurato nell’incomparabile Tubular Bells di Mike Oldfield.
Una deliziosa ghost-track di due minuti con arpa, campanellini e wood.block di sapore decisamente nipponico conferma il misterioso eclettismo di Sincabeza.
Distruzione metodica della melodia e sua seducente ricostruzione: forse è in tale affascinante contraddizione l’appeal maggiore del sound di Sincabeza.