SICK OF IT ALL

New York è la loro città, sono in giro da parecchi anni e godono del rispetto unanime dell’intero collettivo alternative. Chi sono? Semplice, i Sick Of It All, ovvero un gruppo formato da quattro amici abili nell’unire un sound d’impatto a testi carichi di messaggi significativi. Visto il recente sbarco in Italia, siamo andati in quel di Reggio Emilia a fare quattro chiacchere col disponibilissimo Lou Koller, voce e mente del quartetto statunitense.  

“This is for the one who saved me/Accepts me for who I am: Just me/And always gives back tenfold whatever i give”.
( “Questo è per chi mi ha salvato/ E mi accetta per chi sono: semplicemente me stesso / E mi restituisce sempre dieci volte quello che io gli do’” frase estrapolata da “Sanctuary” – nda). Si addice ancora questa frase alla vostra mentalità Lou?

Lou Koller: Sì amico, parecchio. Veniamo da famiglie umili, da una New York che sembrava essersi dimenticata le classi più bisognose per arricchire solo chi stava bene. Lo provavamo sulla nostra pelle, come tutti i ragazzi che vivevano la stessa situazione: pieni di speranze che andavano in frantumi contro la triste realtà. Poi crescendo cambiammo, capimmo che era arrivato il momento di darci da fare in modo pulito per cambiare le nostre esistenze ma stando vicino a chi era nei nostri stessi panni.

 

 

 

E da qui ecco partire la splendida favola intitolata Sick Of It All…

L.K.: Esatto! La musica era una delle poche cose che metteva d’accordo un po’ tutti, in quegli anni, poi iniziava a prendere forma una scena hardcore stabile che oggigiorno posso dire di rimpiangere. Tornando a noi e ai nostri inizi, non fu tutto così semplice, di gavetta ne abbiamo fatta tanta anche noi credimi, e se oggi siamo ancora qui lo dobbiamo soprattutto ai tanti amici che ci hanno sostenuto fin da allora facendoci sentire forti anche nei momenti più difficili. Da qui il nostro ringraziamento a chi ci ha tolto dalla strada, a chi ha saputo accettare i nostri caratteri spesso non facili e alle nostre famiglie, uniche nell’aiutarci sempre senza condizioni.

 

Una storia che coincide molto con quella di molti artisti hip hop non credi?

L.K.: Più della metà di loro non sanno nemmeno cosa voglia dire vivere in certi posti e rischiare veramente la propria pelle! (ride) Oggi fare il gangster va di moda e per definirsi tale in certi ambienti devi saperti costruire una storia credibile. A New York c’è una buona scena hip hop, meno rinomata rispetto a quella di altre zone ma ugualmente valida. Conosciamo alcuni artisti e li rispettiamo perchè loro rispettano noi e la nostra musica, pensa che in qualche occasione abbiamo pure suonato con alcune crew di neri ed è stato molto interessante!

 

Infatti è nota la vostra passata collaborazione con DJ Lethal…

L.K.: Sì! Ci siamo divertiti molto a sentire quello che veniva fuori dai suoi remix, al punto da portarci a inserire la sua versione di “Just look around” sul nostro ultimo lavoro.

 

“Outtakes for the outcast” appunto. Girando in rete ho notato pareri discordanti su questa produzione…

L.K.: È una regola del gioco! La scena hardcore è fatta da due tipi di mentalità: la purista, cioè quella che ti vuole sotto una determinata casa discografica con una certa attitudine e quella più normale e tranquilla che capisce e accetta le tue decisioni. Quando suoni in un gruppo come i Sick Of It All è logico che di fronte a un disco dal vivo o una raccolta i primi si scaglino contro di te e in fondo lo accettiamo anche per il semplice fatto che non reputiamo importanti quei pareri. Questa produzione è un regalo ai nostri fan e ne andiamo fieri, perchè in fondo vogliamo solo dar loro la possibilità di sentire canzoni introvabili senza il bisogno di spendere cifre da capogiro nei negozi di usato o cose simili. Uno scopo onesto a mio modo di vedere.

 

Non a caso furono in molti a voltarvi le spalle al momento della firma per Eastwest Records…

L.K.: Quella è una ferita che ci fa ancora male, perchè in fondo non abbiamo fatto nulla di sbagliato scegliendo una nuova casa discografica. Molti amici iniziarono a dire che lo facevamo per soldi e che eravamo dei venduti, non capendo che lo facevamo solo per il bene dei Sick Of It All. Ma ancora più scalpore fece la nostra scelta di passare su Fat Wreck, con decine e decine di stronzi pronti a sputarci addosso in rete ma non di persona. Odiamo questo tipo di atteggiamenti, se qualcuno ha qualcosa da dire, che ce lo dica in faccia e non nascondendosi da codardo! Non ci pentiremo mai dei nostri passi, questo è certo.

 

La Fat Wreck è da sempre sinonimo di punk rock e hardcore californiano, generi lontani dai vostri stereotipi. Come vi trovate?

L.K.: Molto bene! Fat Mike è una persona intelligente e onesta, quando ha saputo che eravamo alla ricerca di un contratto si è fatto subito avanti chiedendoci di passare su Fat Wreck. La risposta fu immediata e oggi a distanza di qualche anno posso ritenermi a nome dei Sick Of It All pienamente sodisfatto del loro lavoro, siamo distribuiti ottimamente, abbiamo piena libertà nel gestire concerti e merchandise… Non possiamo lamentarci insomma!

 

Prima parlavamo di trend, e allora è normale parlare di rock. Hives, Libertines, Strokes e molti altri sembrano cavalcare l’onda del successo, che ne pensi?

L.K.: Che mi viene da ridere al pensiero che si definisca rock’n’roll un gruppo come gli Strokes! (ride) Non voglio passare per pessimista, ma il rock’n’roll è un genere che ha dato il meglio di sè fino a inizio anni 80, da li in poi è stato solo merda commerciale. Il rock’n’roll era fantastico ai tempi perchè selvaggio e privo di schemi, ognuno faceva quel cazzo che gli pareva senza dare spiegazioni a nessuno. Oggi invece sono tutti pettinati allo stesso modo, vestiti in giacca e cravatta, pronti a suonare canzonette da radio e nel caso facciano qualcosa di veramente trasgressivo è solo perchè hanno un sevizio patinato in ballo. Assurdo!

 

Torniamo ai Sick Of It All. Il palco è il vostro habitat naturale, al punto da starci per gran parte dell’anno. Non sentite il bisogno di staccare la spina ogni tanto?

L.K.: Certo, ma di fronte all’amore dei nostri fan è praticamente impossibile pensare di prendersi una pausa più lunga di due/tre settimane! Quando stacchiamo la spina amiamo goderci le nostre famiglie e i nostri amici, in quanto viaggiando moltissimo hai veramente poco tempo per star loro vicini. Ma allo stesso ammetto che dopo un po’ di tempo inizio a sentire il bisogno fisico di tornare a vestire i panni del cantante, in quanto è un lavoro fantastico che mi permette di vivere in modo dignitoso e trasmettere i miei pensieri a moltissimi ragazzi.

 

Infatti uno dei vostri punti di forza sono proprio i testi non credi?

L.K.: Quando sei al centro dell’attenzione devi stare molto attento a dosare le parole, in quanto stai pur certo che qualcuno non comprenderà i tuoi messaggi. Proprio da questa teoria nascono i nostri testi, che hanno il compito morale di educare soprattutto i più giovani, per fargli capire cosa fare e cosa evitare, traendo spunto dalle nostre esperienze personali e non da storie inventate. Inizialmente non era facile trovare parole che non combaciassero con odio e pessimismo, al punto da farci riscrivere i testi più volte per non sembrare troppo frustrati. Da quei momenti ho imparato a meditare, caratteristica che la gioventù odierna sembra aver perso.

 

Quale è il disco che ti piace di meno tra i vostri?

L.K.: “Yours truly”, perchè rispetto a tutti i nostri album ha una produzione troppo pompata e tecnologica, che non si addice al nostro modo di suonare. Capita a tutti di sbagliare nella vita no?! (ride)

 

La società è da sempre un tema che vi sta a cuore. Avete mai avuto problemi a riguardo?

L.K.: Solamente negli Stati Uniti. Quando vai a suonare in certe zone, soprattutto in quella centrale vai a scontrarti con la mentalità ottusa tipica dell’americano medio. Il problema è che spesso ci siamo trovati a dover fronteggiare gruppi di estrema destra pronti a creare disordini, portandoci a interrompere spesso i nostri concerti. Da quegli episodi decidemmo di evitare certe zone, dove suonare non è sinonimo di divertimento ma bensì di contestazione.

 

Cosa ti porta ad avere un parere così contrastante sul mondo odierno Lou?

L.K.: Basta guardarsi attorno! Parlando in modo globale, guerre, odio, razzismo e povertà hanno reso il Mondo un vero incubo. Guardando invece il quotidiano, trovo che le nuove generazioni stiano crescendo troppo in fretta, perdendo i valori e la bellezza di crescere pian piano. Bruciare le tappe è rischioso ma nessuno sembra farci più caso, Playstation, cellulare e internet sono cose normalissime per un ragazzino di quattordici anni, al punto da indurlo a far scelte sbagliate pur di averli. Queste sono cose che non capirò mai e che fino a qualche anno fa non esistevano nemmeno. Dall’altra parte noto però una schiera altrettanto numerosa di giovani cresciuti con principi sani e meritevoli di attenzioni, che spero riescano a rendere meno pesante il nostro domani.

 

Torniamo a parlare di viaggi e concerti. Quale è il Paese che preferisci tra tutti quelli visitati?

L.K.: Senza ombra di dubbio la Germania. Abbiamo molti amici, un nutrito seguito di fan e siamo discretamente popolari. Il Paese in sé non è il massimo lo ammetto, soprattutto a livello artistico e culinario, ma umanamente è davvero incredibile. Ogni nostro show in Germania è sold-out, con gente veramente fuori di testa pronta a dar il meglio di sè! A pazzia siete forti anche voi italiani, e vi stimiamo moltissimo perchè ci fate sentire a casa nostra. Avete città stupende ricche di arte e cultura, ottimo cibo e bellissime donne, non potreste desiderare di meglio!

 

Hai citato la parola cibo. Vegetariani, vegan e straight edge sono solo una parte delle filosofie di vita rese celebri negli ultimi tempi da numerosi gruppi alternative. Cosa pensi in merito?

L.K.: Ognuno è libero di fare quello che vuole della propria vita amico, e se io rispetto le tue scelte tu devi rispettare le mie. Vivi e lascia vivere insomma, mi sembra semplice come concetto.

 

Come vedi la scena hardcore odierna?

L.K.: Evoluta, anche se tutte le etichette che i giornalisti danno ai nuovi gruppi fanno ridere! Metalcore, emocore, post-hardcore… Tutte cazzate, in quanto l’hardcore è da sempre sinonimo di rispetto e devozione, caratteristiche che trovi anche in molti gruppi odierni. Il metalcore negli Stati Uniti sta riscuotendo enorme successo, al punto da portare MTV a far girare video che fino a qualche anno fa manco sognavi di vedere alla TV.. Una cosa sicuramente positiva per tutta la scena, in quanto il ragazzo che si avvicina al metalcore si chiederà da dove derivi tale musica scoprendo hardcore e metal.

 

Un’ultima domanda: molti nomi storici della scena hardcore hanno vissuto o stanno vivendo momenti difficili, mentre voi non avete mai avuto cali. Quale è la vostra formula magica?

L.K.: Non penso sia una questione di formule magiche, ma bensì l’essere da sempre persone oneste e coscienti dei propri limiti. Non abbiamo mai fatto dichiarazioni forti alla stampa, non siamo mai stati ospiti di talk show e non ci siam mai definiti i migliori al mondo. Avere poi dei fan come i nostri ti aiuta moltissimo, in quanto stai pur certo che per darci una mano in molti sarebbero pronti a far qualsiasi cosa. Arriveremo anche noi prima o poi alla nostra fase calante e quando arriverà stai pur certo che saremo i primi a smettere.

 

www.sickofitall.com

www.fatwreck.com

 

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