Dopo la reunion del 2012, gli Shandon tornano “back on board”. E questa volta lo fanno per restare. In attesa di ascoltare il loro ultimo lavoro – e di goderceli dal vivo – abbiamo fatto due chiacchiere con Olly Riva, frontman della band.
P.S. State sereni, questa volta non si tratta di una semplice reunion! Infatti – come ci ha raccontato Olly – non sarà un’esperienza che inizia e finisce, ma una vera e propria rinascita del gruppo, che torna con una nuova energia e una nuova voglia di fare musica.
Ciao Olly! Il ritorno degli Shandon è sicuramente una notiziona, soprattutto perché ci aspettano molte novità, a partire dalla formazione. Ci presenti i tuoi compagni di viaggio?
Sabato 16 gennaio farete un ritorno col botto al Live Club di Trezzo sull’Adda (MI), per poi proseguire il tour su e giù per lo stivale. Sentite già l’adrenalina pre-show? Come vi aspettate l’imminente ritorno sul palco?
La vostra tournée sarà sicuramente l’occasione per presentare al pubblico il vostro ultimo lavoro, Back On Board, in uscita il 15 gennaio su piattaforme digitali e il 22 nei negozi di dischi. Prevarrà l’aspetto di continuità con i lavori precedenti o dobbiamo aspettarci delle novità?
Sono convinto che fare un disco come nel 1994 o nel 2004 non avrebbe avuto molto senso. Ma neanche farne uno “moderno”, considerando che le nuove mode della musica alternativa (il cantautorato, l’elettronica, il rap) non mi appartengono e non rispecchiano le mie scelte stilistiche né come musicista né come ascoltatore. Quindi ho cercato di essere il più onesto possibile, scrivendo canzoni e poi arrangiandole con gli altri componenti della band. Il risultato è un disco estremamente sincero e trasparente, e sono contento che chi lo ha sentito in anteprima abbia detto esattamente le cose che volevo sentirmi dire: “sembra nuovo e vecchio allo stesso tempo”. Il che, per assurdo, per me è un complimento.
Quali sono stati i generi e gli artisti che vi hanno influenzati maggiormente? Le tue precedenti esperienze al di fuori degli Shandon hanno avuto un ruolo in questo senso?
Sì. In effetti da tre anni, oltre a The Fire, ho avviato un progetto solista di soul e rhythm & blues anni Sessanta, Olly Riva and the Soulrockets, in cui lavoro con diversi professionisti provenienti dalla scena ska, rocksteady e reggae. Andando in giro in tournée con loro, durante i nostri viaggi in furgone, ho avuto l’occasione di ascoltare questi generi e mi sono riavvicinato a questo mondo, che inevitabilmente ha influenzato la mia musica. Di solito quando scrivo non lo faccio per un motivo specifico, ad esempio per un disco in particolare, così mi sono trovato ad avere da parte delle canzoni “reggaeggianti” (tra cui una che parla di mio padre). Da qui a rimettere in piedi gli Shandon, con il trombonista Max che è sempre stato con noi, il passo è stato breve.
L’album vede diverse importanti collaborazioni. Come è nata l’idea?
Vic Ruggiero degli Slackers è un personaggio affermato nella scena ska/rocksteady/reggae, e con gli Shandon avevamo già avuto occasione di suonare con lui molti anni fa. Recentemente ci siamo visti ad un loro concerto, e tra una chiacchiera e l’altra gli ho parlato del ritorno degli Shandon, chiedendogli se voleva fare un pezzo con noi. Un mese più tardi, è venuto nel mio appartamento e in 35 minuti abbiamo fatto tutto!Queste collaborazioni quindi non sono frutto di scelte di marketing, come succede per altri generi musicali, ma nascono dalla stima reciproca e dalla voglia di condividere di musicisti che appartengono allo stesso mondo da tantissimi anni.
Sul vostro canale YouTube c’è una serie molto divertente, con i video di alcuni vostri amici del panorama musicale italiano che vi danno il “buontornato”. Il loro sostegno ha giocato una carta importante nella vostra decisione di tornare?
Tirando le somme, qual è stata la spinta maggiore che vi ha fatto dire: “ok, si torna a suonare”?
La spinta che, personalmente, ha dato vita a questa idea è stata la voglia di serenità. A distanza di anni la parola Shandon mi faceva male, quindi volevo fare pace con quella stessa parola, con le canzoni che a lei erano collegate. Ci sono voluti dodici anni, ma adesso sono molto sereno. La reunion di tre anni fa, che era stata spinta dalle stesse motivazioni, non aveva fatto altro che peggiorare la situazione nella mia testa. Ma adesso, con una nuova formazione, una nuova musica, un nuovo modo di fare, tutto si è sbloccato e sto decisamente meglio. Quando le cose ti escono dal cuore, con entusiasmo, risultano molto più belle e sincere; è inutile sforzarsi di ritornare esattamente gli Shandon che eravamo prima.
Back On Board sarà disponibile su CD e negli store digitali, ma non sulle piattaforme di streaming. Pensate che questa decisione possa frenare la diffusione del vostro album?
Sinceramente non mi interessa, odio lo streaming con tutto me stesso. Quando sono uscite piattaforme tipo Spotify o iTunes, ho provato ad utilizzarle ma mi hanno fatto schifo. È vero, hai tutta la musica che vuoi, però in realtà smetti di ascoltarla. Hai talmente tanto a disposizione che non sai più cosa scegliere, ti confondi e non capisci più cosa ti appassiona davvero. Pensa invece al valore di quando andavi in un negozio di dischi, parlavi di musica con il negoziante o con la persona che ti sta accanto, e infine compravi un disco; l’acquisto era di per sé molto più “romantico”. Poi portavi il disco gelosamente a casa, e solo in quel momento decidevi se avevi fatto un buon acquisto o meno. Ma oltre a eliminare tutto questo, le piattaforme tolgono il sostentamento economico a band come la nostra, appartenenti al panorama alternativo, che non hanno soldi né per registrare né per andare in tournée, e neanche da investire in attività di promozione. Le nostre uniche entrate derivano dalla vendita dei dischi e dai concerti – anche se la gente viene sempre di meno e vuole pagare sempre di meno, perché è abituata alla “politica del gratis”, che sta togliendo completamente l’interesse alla musica. E lo streaming genera questo maledetto circuito che toglie dignità alla musica.
Qual è la traccia che rappresenta maggiormente il ritorno degli Shandon?
Sicuramente “Vuoto”, una traccia reggae cantata in italiano. Parla proprio dei valori che non si vogliono perdere; quelli che, nonostante i problemi, le divergenze e le complicazioni, ti spingono a continuare a fare il musicista, suonando con persone che hanno davvero la voglia (e la passione) di fare questo mestiere. Non come i “personaggi del dopolavoro”, quelli che per divertimento fanno un concerto ogni tanto o prendono la musica come un hobby. Per me quella canzone trasmette l’idea che fare il musicista è un biglietto per un viaggio di sola andata, da vivere in maniera forte e intima; altrimenti risulterebbe un lavoro come un altro. Per noi la musica è come un tatuaggio sulla pelle, e se uno non vuole viverla così, allora non riesco a chiamarlo musicista.
Grazie Olly! E bentornati Shandon!
Ma sì Olly, combatti contro i mulini a vento e non mettere l’album su spotify…in effetti è meglio il download illegale così per lo meno la gente lo ascolta con più attenzione. Bah, che cazzata.