ROCK IN IDRO 2009 – Prima giornata

Dopo un anno di pausa ritorna il “Rock In Idro” con un cast decisamente buono (quantomeno per il primo giorno) e d’avanguardia che non guarda (esclusivamente) ai soliti noti come si è soliti fare dalle nostre parti.
Nell’insolita e, purtroppo, inadatta cornice del PalaSharp per le ben note cause nel quale non mi voglio addentrare, ha preso vita questa terza edizione del celebre festival milanese. La location sicuramente non è quella adatta ad un festival estivo, la suddivisione troppo netta tra dentro e fuori purtroppo penalizza il “clima” festivaliero (di sicuro non quello ambientale per i 30° C presenti). Purtroppo è mancato il fresco dell’erba dove stendersi in compagnia di amici e di una fresca birra per godersi nel pomeriggio le band di apertura senza per forza stare “in mezzo al pubblico” più scalmanato o il semplice cazzeggio dove si fanno migliaia di amicizie folli. Questa critica ovviamente non va agli organizzatori che hanno fatto decisamente del loro meglio per sopperire alle carenze logistiche (tranne per qualche balla di troppo sui mega aeratori o le 300 miliardi di docce che dovevano allestire), ma era doveroso sottolinearlo. Ma accontentiamoci della (gran) musica dai. Veniamo al giorno 1 che vedeva sicuramente il cast più affine a chi frequenta Punkadeka.

Arrivo per le 1430 ma la prima ora passa praticamente nei saluti di rito a tutti gli amici Panc che non vedevo da una vita (Deka in primis che nonostante sia il mio capo non vedevo da 5 anni!!!) e in brindisi vari soprattutto per Massimo, il nuovo arrivato nella famiglia di Punkadeka e che porterà sicuramente nuova linfa al sito. Riesco anche a conoscere un certo Marquez che si presenta come mio aficionados e mi sembra doveroso salutarlo nel report visto che neanche sapevo chi fosse. Riesco a vedermi solo due pezzi dei “The Subways” che francamente conoscevo poco ma che mi hanno fatto una ottima impressione con il loro sporco rock n roll e una bassista veramente indiavolata sul palco. Tra una birra e un cuba libre il tempo passa presto e sul palco poco prima delle 16 salgono i Gaslight Anthem, forse uno dei migliori gruppi punk rock attualmente in giro (quantomeno fino alla prova del Rock In Idro). Avevo avuto modo di vederli già due volte dal vivo (a Londra all’Astoria -e anche al Vans Store di Carnaby in acustico- e a Milano allo Zoe) ed ero rimasto letteralmente impressionato dalla carica ed energia che trasmettevano.

Partono bene con due pezzi tratti dal loro ultimo full length “59 Sound” e il pubblico lentamente inizia a scaldarsi. Nel prosieguo però si perdono leggermente e la scelta dei pezzi premia maggiormente i pezzi più rock che punk e anche la loro chimica non sembra quella dei giorni migliori. Non riescono a dominare bene lo spazio e i suoni nemmeno li aiutano. A dire la verità ho trovato una band un po’ spenta che non è riuscita ad esprimersi al meglio. Mi è dispiaciuto fare queste considerazioni ma anche loro ci hanno messo del loro meglio divertendosi a “cazzeggiare” per 5 minuti. Purtroppo (o per fortuna dipende dai punti di vista) io sono dell’opinione che nei festival le band devono sparare le loro cartucce senza un minuto di tregua perché hanno poco tempo a disposizione e lasciare ad altre sedi (club) virtuosismi vari. L’unica cosa che veramente mi è piaciuta è stato l’intro di “Stand-by” me prima di “I’da called you woody, Joe” canzone dedicata al mitico Joe Strummer. Un set poco più che sufficiente da una band da cui francamente mi aspettavo molto di più. Dopo un veloce cambio sul palco salgono gli All American Rejects.

Avevo avuto la (s)fortuna di vederli solo alla prima edizione del Rock In Idro nel 2005 e mi erano sembrati abbastanza penosi come band. Successivamente ho ascoltato il loro ultimo in cui avevo intravisto qualche parvenza di decenza. La band sale sul palco e la prima impressione che ho avuto è che il cantante abbia sbagliato città e che forse doveva essere a Roma a manifestare in quel fine settimana. Quanto di buono avevo potuto pensare prima è stato velocemente rimosso da cotanta indecenza sia musicale che estetica, una band che non ha nulla da dire e che quello che cerca di copiare (musicalmente e come atteggiamento sul palco) lo fa per di più male. Una posizione in scaletta del festival assolutamente incomprensibile se non a fronte di lauti pagamenti o ricatti dei loro manager agli organizzatori, altra spiegazione non me la so proprio dare! Dopo 3 canzoni rifuggo all’esterno e ricarico le batterie in attesa dei mitici Flogging Molly che ad un anno dalla splendida esibizione al Sziget Festival mi rigodo con grande piacere. Sin dalla prima canzone il pubblico esplode in canti e balli e la band sul palco apprezza regalando uno show a dir poco perfetto. Probabilmente sono stati la migliore band del giorno riuscendo a mettere d’accordo anche coloro che storcono il naso davanti a questo genere, sicuramente anche decisamente superiori ai loro compagni di etichetta Gogol Bordello che secondo il mio modesto parere sono assolutamente sopravvalutati (a livello musicale e non di show che anche loro sono sopra la media).

Purtroppo non ho fatto in tempo a scaldarmi che i Flogging Molly abbandonano il palco tra il meritato trionfo di applausi e ovazioni del pubblico. Ho avuto il piacere di vederli altre volte e confesso che forse questa è stata la loro migliore esibizione, grandissimi live men e ottimi musicisti! A continuare a far ballare ci hanno pensato i Gogol Bordello. Eugene Hultz, fresco di film con Madonna, è in ottima forma e il pubblico risponde anche a loro in maniera calda. Il loro mix di folk, ska e sound balcanici è di facile presa e il pubblico non si fa di certo pregare. Personalmente non mi hanno mai fatto impazzire su disco anche se dal vivo ho sempre ammesso che sono una ottima band. La loro è stata forse performance con maggiore pubblico presente (inferiore di poco solo ai Pogues ma sicuramente superiore, ahimè mi duole confessarlo, ai mitici Social Distortion). Ottimo show di una ottima live band forse solo un po’ troppo sopravvalutata dalla stampa e da parte del pubblico.

Dopo di loro la band che tutti aspettavano, i SOCIAL DISTORTION. Penso che la band di Mike Ness e compagni abbia bisogno di ben poche introduzioni essendo una delle migliori punk rock band di tutta la storia. Era dall’Indipendent del 2005 che non facevano ritorno in Italia e l’attesa, almeno per il sottoscritto era tantissima. L’ultima volta ero rimasto semplicemente senza fiato per uno show impeccabile ed intenso con un Mike Ness dimostratosi oltre che grandissimo live-man anche grande uomo, al di là della pura retorica che lo si accusa abbia fatto. Il live se non erro (perdonatemi ma le mie condizioni alcooliche non mi garantivano alle 19 il massimo della lucidità) attacca con “The Creeps” e da subito il pubblico esplode. Sinceramente rispetto alla precedente performance lo trovo un po’ meno carico, ma soprattutto infastidito dalla pessima acustica che accompagna le prime canzoni che vengono decisamente penalizzate. I pezzi storici vengono eseguiti tutti quanti e non riesco a non emozionarmi su canzoni come “Story of my life”, “Bad Luck” o la cover del grandissimo Johnny Cash di “Ring of Fire”. Senza troppi fronzoli il concerto prosegue sparato e dall’ultimo (splendido) disco “Sex, love and rock n roll” tirano fuori anche “Reach For the sky” e “Nickels and dimes”. Doveroso ammettere che qui parlo forse più con il cuore che con la testa, ma ho assistito ad un grande show, seppur dai Social Distortion mi sarei aspettato forse qualcosina in più a livello di impatto. Nonostante questo rimangono dei grandissimi e discuterli mi sembra inappropriato (considerando quello che poi ci sarebbe toccato a seguire).

Dopo di loro incredibilmente suonano i Babyshambles che trovo che non siano altro che una discreta college band che francamente ha poco da dire e che se avessi avuto l’opportunità, come è stato lo scorso anno al Sziget, di vederli alle 16 di pomeriggio sdraiato a riposarmi forse avrei apprezzato, ma che veder suonare dopo i Social Distortion ed essere considerati headliner di un festival sinceramente mi fa solo girare le palle. No comment.

A concludere la giornata ci pensano i mitici “The Pogues”. I “The Pogues” sono la classica band che chiunque ami il punk non può non amare, hanno scritto pagine memorabili di questa musica unendo tra i primi il rock al folk il tutto in chiave dannatamente punk. La band viene introdotta da uno splendido pezzo di Joe Strummer (il quale fu anche voce per un periodo della band) che emoziona il pubblico prima di partire con le danze che partono con “Streams of whiskey” e (se non sbaglio) “The Irish Rover”. L’opinione comune un po’ di tutti è che i The Pogues effettivamente siano semplicemente degli “imbriagoni” alla canna del gas. Credo che questa definizione rappresenti quella che è la realtà ma non me ne dò assolutamente pena perché i balli e il divertimento che riescono a regalarti questi “imbriagoni” sono in pochi che ci riescono a questo mondo. Ricordo francamente ben poco del prosieguo del concerto, quello che ricordo sicuramente è il sorriso inebetito che mi ha accompagnato fino a casa dopo essermi visto questi simpatici vecchietti.

Tirando le somme della giornata posso sicuramente fare un plauso al pubblico che è accorso per l’evento nonostante il non piccolo problema della location che sicuramente ha penalizzato il sollazzo che vi dovrebbe essere ad un festival, un mezzo plauso va agli organizzatori che nonostante abbiano allestito un gran cast alle fine è stato evidente il ricatto delle major per inserire discutibili band come All American Rejects o Babyshambles che hanno tolto il posto a migliori band in circolazione in Europa al momento, o se proprio vogliamo metterla tutta, minuti preziosi a band come Flogging Molly o Social Distortion che si sono ritrovati con un set troppo corto per quello che il pubblico avrebbe voluto.

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