Recensire un concerto dei Rancid è un po’ come raccontare un sogno…
…certe emozioni difficilmente possono essere trasferite su carta sotto forma di parole, certi attimi rimangono impressi nella mente come un flash indescrivibile ed impossibile da codificare.
Definire “concerto” un live dei Rancid è riduttivo, si tratta di qualcosa in più, di un’esperienza poliedrica ed unica che coinvolge ed impegna tutti e cinque i sensi; se tutto ciò accade a Londra, nel grembo primordiale del punk, allora è sicuro che l’effetto sarà memorabile.
Delle tre date londinesi partecipo alla prima, quella del 14 novembre; mi reco davanti all’Astoria circa tre ora prima dell’apertura cancelli, prevista per le sette (gli inglesi vanno a nanna presto), per aggiudicarmi un buon posto e per respirare un po’ di sana aria punk. Già dai primi punk che incontro per strada, dalle creste vertiginose e coloratissime, dalle borchie omicide e dai chiodi lucidissimi, mi rendo conto che Londra è Londra, niente a che vedere con le frangettone piastratissime che brillano sotto i palchi dei concerti “punk” italiani; in terra regale il punk continua ad essere uno stile di vita, chi lo era a 18 anni si ritrova oggi a 40 con una cresta un po’ spelacchiata ma che in fondo regge ancora, a fare la fila per vedere i Rancid.
L’apertura cancelli è un po’ come il verde del semaforo che dà inizio ad una gara di rally: pochi minuti e l’Astoria si riempie completamente sia nell’area adiacente il palco che nel piano rialzato, appena entro il mio sguardo si focalizza immediatamente sull’insegna “Armstrong AV” che domina l’amplificatore di Tim, ed è solo l’inizio di una serie di suggestioni stupefacenti.
Al suono del Big Bang che scocca le otto, si comincia con il primo gruppo spalla: gli Outlow, quattro ragazzini tra i 13 e i 16 anni che stupiscono più che altro per la grinta e l’aria da duri non proprio usuale per fanciulli che al massimo potrebbero incazzarsi per aver perso una partita alla playstation. Per l’ età che hanno i quattro sono bravi, promettenti di sicuro e anche fortunati per un inizio di carriera in veste di supporter degli U K Subs e dei Rancid.
Gli U K Subs vengono accolti dal pubblico inglese con la stessa foga ed entusiasmo riservati ai Rancid, sono in molti a dichiarare di essere presenti esclusivamente per loro. Più che concentrarmi sul loro live sto ben attenta a non perdere la mia posizione in pole position.
Finalmente il grande momento: dopo un veloce cambio di batteria, posizionamento delle scalette, delle due casse per le acrobazie di Tim, il tutto messo a punto da Big Jay, bassista dei The Bastard, si spengono le luci e sullo schermo nero compare una scritta bianca a scorrimento: RANCID.
E’ il panico. In un secondo, ancora a luci spente, entra Tim e inizia a cantare “ Never fell in love
until i fell in love with you….” l’assolo di basso apre le porte a Matt e Lars ed è il delirio.
A raffica vengono eseguite Roots Radicals, Journey to the end, Gunshot, Lars presenta Tattoo e altre track dell’album contenente i B-sides mentre l’emozione ha il suo culmine con Knowledge degli Operation Ivy.
In coincidenza dei pezzi di Rancid 2000 sono costretta ad abbandonare la mia privilegiata posizione, ho addosso non so quanti bestioni che pogano e non voglio morire proprio ora, salgo al piano superiore del teatro Astoria che offre sicuramente una visuale migliore. Tim scappa dietro il palco alla fine quasi di ogni pezzo contando sugli assoli chilometrici di Matt che ingannano il tempo alla grande. In effetti Tim, con una testa tatuatissima da quanto lascia intravedere il cappello, è quello che tiene meglio il palco in fatto di scena e presenza, salta da una parte all’altra, lancia la sua Gretsch in giravolte vorticose e accenna passettini tra lo swing e il reggae, ma sono Lars e la roccia Matt che portano avanti il live in senso prettamente musicale. I quattro sono in formissima, sarà l’aria di Londra, sarà l’entusiasmo e la risposta massiccia dei fans, sarà perché rancidi non ci saranno mai, fatto sta che suonano per più di un’ora e mezza regalando uno spettacolo indimenticabile. Grande il nuovo batterista, Branden Steineckert, una furia dietro fusti e piatti, scommetto che molti non si saranno neanche accorti della new entry che a mio avviso ha addirittura qualcosina in più da dire rispetto a Brett Reed.
Dopo aver suonato Ruby Soho concedono il bis con l’immancabile Time Bomb, nonostante siano in molti ad invitarli ancora sul palco si dileguano nel backstage, una folla di gente si accalca al banchetto del merchandise e dopo una mezzoretta i quattro firmano autografi all’uscita posteriore dell’Astoria. Faccio una gaff facendo autografare un vecchio poster al batterista che ha la prontezza di disegnarsi alla destra di Brett Reed e mostro fiera a Tim il mio hellcat tattoo sul polso.
Che dire…indistruttibili…