Oh, diciamo le cose come stanno: dal punto di vista della programmazione l’ultimo giorno del festival era quantomeno “in sordina”, questo per non dire che per me era quasi totalmente privo di punti di interesse (si adesso arrivano i soliti fighi “ma come, suonavano i XXXXX? Non capisci un cazzo!”).
Aprono il beach stage gli Andead, è l’ultimo giorno, la gente si trascina stanca dal fiume al parterre, non è tantissima perchè molti sono provati dai giorni passati (affluenza comunque onesta) e si tengono per i Bad Religion, ma la carica degli Andead è contagiosa, la gente si entusiasma sempre di piu’ e alla fine Andrea riesce a finir di cantare l’ultimo pezzo facendo stage diving. Miglior band del beach stage da tutti i punti di vista: songwriting, attitudine, presenza scenica, ecc.
Nel corso del pomeriggio Andrea fa un concerto acustico allo stand dell’American Socks. Parliamone.
Un po’ di pezzi degli Andead, un po’ di pezzi suoi da solista e un po’ di cover (“Radio” lenta, “Last Caress” reggae, medley dei Social Distortion); fa il suo pezzo i cui proventi vanno ad Amnesty International, chiacchiera con la gente (qui non poca e molto partecipe) e volete sapere una cosa? Ho visto la gente con gli occhi lucidi e una ragazza coi capelli azzurri che si asciugava le lacrime durante “Punk Rock saved my soul“: un pezzo che se l’avesse scritto Tim Armstrong ve lo tatuereste come fate con “Radio”, e vi commuovereste anche voi ascoltandolo, ma non si può…l’ha scritto un dj paraculato di una radio che passa i Guns’n’Roses 4 volte al giorno, quindi è merda a prescindere, e comunque “nemo propheta in patria”, no? Ma sapete cosa? Questo concerto Andrea l’ha fatto col cuore, sudando, urlando, credendoci, instaurando un dialogo con la gente e soprattutto condividendo con loro delle emozioni…so che c’è gente la fuori che pensa sia da sfigati credere così tanto in ciò che si fa; però è questo che ci piace del punk, no? L’energia che si sprigiona quando un tizio con una chitarra e un centinaio di tizi con delle birre in mano urlano a squarciagola insieme la stessa canzone. Allora fanculo, il senso di appartenenza, di comunità, di essere esattamente nel posto giusto al momento giusto, con le persone giuste…queste cose non hanno prezzo. Ora, che sia una megastar (Tim Armstrong, Mike Ness, ecc…) o il mio vicino di casa o uno che suona in una band “piccola” e che conosco da 15 anni, cosa cambia? E’ SEMPRE E COMUNQUE una cosa che non-ha-prezzo. Punto.
La sera i Bad Religion han fatto il loro solito concertone, ma serve veramente che ve lo confermi? Sono partiti con le hit tipo “Generator”, “Punk Rock Song”, “Fuck armageddon, this is hell”, “20th Century digital boy”, “American Jesus”, “Sorrow” e dopo una pausa di qualche minuto scende il fondale con la copertina di “Suffer” e parte la riproposizione intera del disco. Nel tripudio generale si chiude l’edizione 2018 di quello che per me è diventato un appuntamento fisso irrinunciabile. L’anno prossimo, fossi in voi, ci farei piu’ di un pensierino.
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