A pochi mesi di distanza dal “Greatest hits”che faceva il punto sulla loro carriera ritornano sulla scena i “No Use For a Name”. Qualsiasi cosa verrà scritto in questa recensione sarà sicuramente oggetto di critiche perché ormai il pubblico si è letteralmente spaccato in due: da una parte vi sono gli integralisti che portano nel cuore e nelle orecchie album come “Leche con carne” e “Making friends” e hanno vissuto come un tradimento vero e proprio la maggiore ricerca della melodia della band, dall’altra invece troviamo i fedelissimi che cresciuti con la band hanno continuato a seguirli nei loro progressi, talvolta nonostante tutto e tutti. Confesso che ai tempi di “More betterness” mi schierai anche io con il primo partito, col senno di poi qualche anno dopo posso dire di essermi sbagliato ed essere entrato a far parte del secondo schieramento.
Posso dire a cuor sereno che rispetto a “Keep them confused”, che peraltro non mi sentii di criticare completamente, la band ha cercato un approccio meno catchy e decisamente più potente. La ricerca della melodia questa volta si riesce ad unire alla loro classica energia, esempio di questo sono brani come “I want to be wrong” o “Under the garden”, che avrebbero potuto far parte tranquillamente di “Making friends”.
Sicuramente il sound è decisamente più raffinato, le canzoni sono strutturate in maniera più articolata rispetto al passato. Trovo che in “The feel good of the year” riescano perfettamente a coniugare le due anime che li hanno sempre contraddistinti. Possiamo trovare canzoni melodic hc come “The feel good of the year” seguite da catchy mid-tempo song come “the trumpet player” per poi rimboccare immediatamente la strada del hc melodico.
Continuando ad essere sinceri è impossibile non dire che se non fossero state presenti canzoni come “sleeping between trucks”, “domino” o “kill the rich”, decisamente tra le peggiori della loro lunga carriera sarebbero riusciti finalmente a mettere d’accordo i due schieramenti per un disco che avrebbe visto un apprezzamento bipartisan.
“The feel good of the year” molto probabilmente non è il migliore disco della carriera, è innegabile questo. Non per questo però bisogna criticarlo ingiustamente, i “No Use For A Name” sono e resteranno una delle migliori band della scena punk e questo disco non lo può smentire. D’altronde non credo che nessuno di voi sia mai uscito da un loro live deluso, mi sbaglio?! Un motivo ci sarà non credete?! Lunga vita ai No Use For A Name!
Voto: 8- (Un ennesima egregia prova per la band)