La Top 10 2010-2019 di Penta

Best of the Scene

10° – Dissent of Man dei Bad Religion (2010)
Parto dal lontano 2010, e lo faccio con “The dissent of man”. 15 canzoni in piena tradizione Bad Religion. Un album che si fa ascoltare benissimo da chi già conosce Greg Graffin e soci, ma che con un sound completo e testi ben realizzati si presta benissimo come biglietto da visita per i più novelli che si affacciano sul panorama Bad Religion. “The Day That The Earth Stalled”, “Someone To Believe”, “Pride And The Pallor” formano il podio di questo album da ascoltare assolutamente.

9° – Love is for loser dei Longshot (2018)
I Longshot, side project del leader dei Green Day, propongono un rock dall’anima vintage. 11 Brani freschi, snelli e veloci con un rock melodico ricco di ritornelli orecchiabili e impreziositi dall’inconfondibile voce di Billy Joe, che sembra rifarsi al rock dei Beach Boys e al punk dei Social Distortion come nell’omonima “Love is for losers”. La band si tiene fuori dalla politica, virando su temi e ritmi più spensierati e divertenti. Si percepisce l’entusiasmo di suonare insieme per il semplice gusto di farlo, e ci restituisce un Billy Joe più genuino, più energico e più entusiasta tanto da richiamare i tempi di Dookie e Nimrod.

8° Railer dei Lagwagon (2019)
Forse non sarà ricordato come il miglior album dei Lagwagon, né come il miglior disco del 2019 (“Thoughts And Prayers” dei Good Riddance e “Age of Unreason” dei Bad Religion possono benissimo stargli davanti), ma “Railer” ha il merito di riconsegnarci i Lagwagon veloci e melodici che tutti conosciamo ed amiamo.  Il disco si rifà ai primi anni 90, e potrebbe benissimo collocarsi tra “Duh” e “Trashed” se non fosse per quella voce sofferente e tirata di Joey Cape a cui d’altra parte fa da contrappeso una notevole maturità compositiva: due caratteristiche che rendono di per sé ancora più bello e unico questo lavoro. Dall’hardcore di “Stealing Light”, alle melodie più nostalgiche di “Bubble” passando poi dal metal di “Surviving California” alla tiratissima “The Suffering”, quello dei Lagwagon è il ritorno al passato di noi eterni Peter Pan.

7° 12 Song Program di Tony Sly (2010)
Ci può essere un album acustico in una classifica punk rock? Assolutamente si, se parliamo di una delle più belle voci che la scena punk rock abbia potuto ascoltare. Tony Sly, leader dei No Use for a Name ci lascia prematuramente nell’estate del 2013 dopo aver rilasciato negli ultimi anni di vita ben due album acustici. Il primo (12 Song Program) è un vero e proprio scrigno in cui ritrovare l’essenza del suo talento e la melodia della sua inconfondibile voce. Il rock acustico di “Capo, 4th Fret”, la melodia di “Keira” e “Via Munich” in cui trionfa la calda voce di Tony, oppure Amends dove si accompagna con Joey Cape, sono solo alcune delle magnifiche 12 canzoni che compongono questo album e che come me ognuno si porta nel cuore.

6° Fight the good Fight dei Interrupters (2018)
Con tre album in poco meno di 5 anni gli Interrupters sono in assoluto la band che più di tutte ha segnato con qualcosa di nuovo, la seconda metà di questo decennio. Il loro terzo album “Fight the good fight” porta con sé una notevole maturità, ma non perde la grinta e l’energia dei precedenti lavori.  Sotto l’ala protettrice della Hellcat e di Tim Armstrong, la band dei fratelli Bivona guidati dalla carismatica voce di Aimee con una miscela di punk e ska in stile Operation Ivy rilascia in questo album delle vere e proprie chicche tra cui “She’s Kerosene”, “Gave you everything” e  “Title Holder” che di certo ci ritroveremo ad ascoltare anche tra 10 anni.

5° Bad Habits dei Not on Tour (2015)
Se c’è una cosa che da sempre risulta vincente nel punk rock sono le canzoni brevi e veloci. Lo sanno bene i Not on tour che raccolgono 16 canzoni in soli 21 minuti. Basterebbe questo per descrivervi un album diretto, veloce e punk! “Bad Habits” è infatti una vera e propria scheggia di punk hardcore melodico in cui nessuna canzone supera il minuto e mezzo. La voce melodica e accattivante di Sima Brami raggiunge note estremamente alte, e ben si accompagna alla velocità indiavolata della batteria e ai riff distorti della chitarra. I cori in sottofondo regalano poi quella sfumatura pop che non guasta affatto. Un mix davvero vincente per la band israeliana, che ti spinge a volerne sempre di più come fosse una droga. “Flip”, “Gut Feeling”, “Maybe one day”, “Different Kind Of Weather”, “Write it down” sicuramente le migliori canzoni a mio avviso.

4° Masked Intruder dei Masked Intruder (2013)
Il love pop punk dei Masked Intruder è un autentico fulmine a ciel sereno nella scena di quel lontano 2013. Testi melodici e buffamente sdolcinati, accompagnati da melodie molto soft e ricche di cori. E così che i quattro incappucciati di casa Fat, con una ricetta semplice ma ricca di novità riescono a far strage di cuori nella scena punk rock di questo decennio.  Il primo omonimo album ti rapisce fin dalle prime note di “25 to life” e ti accompagna per una buona mezz’oretta restando in uno scenario pop punk assolutamente confortevole. “I Don’t Wanna Be Alone Tonight”, “Unrequited Love”, “Heart Shaped Guitar” e per chiudere la stupenda “Wish You Were Mine” sono in assoluto i pezzi che vi conquisteranno già al primo ascolto.

3° Hypercaffium Spazzinate dei Descendents (2016)
“Hypercaffium Spazzinate” uscito a 12 anni di distanza da “Cool to be you” è il classico album senza tempo e senza età.  16 canzoni in cui i padri del punk hardcore, nonostante il passare degli anni, fanno capire di avere ancora la lucidità e l’energia di proporre un album hardcore dai pezzi brevi e veloci. Ovviamente la voce si è fatta più calda e melodica rispetto agli albori ma lo stile che li caratterizza è rimasto inalterato e lo si può ben ritrovare in “Victim of me”, “On Paper” e “Fighting Myself”. Trovare, però una canzone che primeggi su un’altra è alquanto impossibile all’interno di questo album compatto e davvero ben costruito. D’altra parte parliamo dei Descendents… potevano mai commettere errori?

2° Honor is all we know dei Rancid (2014)
“Honor is all we know” è forse uno degli album più snobbati, ma a mio parere uno dei più fighi della discografia dei Rancid. Un vero e proprio ritorno al passato, ai primi tre album dal tipico sound di un punk grezzo e graffiante, ma in grado di miscelarsi allo ska, e quindi ancora una volta di strizzare l’occhio ai Clash.
14 canzoni in cui ritroviamo un mix di sapori: dalla ruvidità punk di “Back where I belong” e “Turn In Your Badge” al rock steady di “Everybody’s Sufferin” passando per lo ska punk di “Evil’s my friend”. I cori di “A Power Inside” e “In the streets” ti restano in testa al primo ascolto e la ritmata “Honor is all we know” troneggia su questo album di 33 minuti con il suo mix di voci e cori in grado di fiondarti con la mente nella calda e soleggiata California. Un album davvero superlativo a mio avviso.

1° – Warrios delle Bad Cop Bad Cop (2017)
Warrios, il secondo album delle Bad Cop Bad Cop, sfodera il punk melodico classico di casa Fat fine anni 90 misto la grinta graffiante delle “The Donnas”. 11 canzoni nelle quali le voci (Da quella più burbera di Stacey a quella più leggera di Jennie tra le quali si inserisce quella ben bilanciata di Linh) si alternano e miscelano su più canzoni, accompagnando in modo davvero perfetto i riff delle chitarre e l’incessante ritmo dettato da Myra alla batteria. L’album mostra una band fortemente maturata sia nel sound sia nelle tematiche affrontate: la politica e un diretto schieramento anti Trump, ma anche canzoni che parlano della vita da strada e delle esperienze vissute da Stacey con una vita al limite. Gridano l’uguaglianza e si fanno portavoce del movimento femminista. Un album completo sotto più punti di vista, ma soprattutto piacevole da ascoltare e in cui spiccano “Victoria”, “Warrios”, “Retrograde”, “I’m done” e “Womanarchist”.

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