Diecimila persone riunite per un concerto rock, sarebbero già la dimostrazione della grandezza dell’ evento in una terra, che difficilmente offre occasioni di musica di qualità così gradite da un pubblico così numeroso.
Se poi alziamo la posta aggiungendo che il concerto si svolgeva al centro dell’isola a pari distanza dalle città più popolate (un’ora e mezza di macchina come minimo), e soprattutto che si sta parlando di un gruppo, che ormai da 5 anni ha abbandonato le scene, il fatto raggiunge il livello di incredibilità.
E invece questo miracolo è avvenuto davvero, il 19 Agosto 2006, sotto la bellissima chiesa diSan Gregorio, costruita nel lontano Duecento, per un gruppo dal nome Kenze Neke (Senza Colpa).
Spieghiamo brevemente chi sono i Kenze Neke, e cosa rappresentano per un pubblico italico come quello di punkadeka, che magari li ha solo sentiti nominare.
I Kenze Neke sono nati nel lontano 1989 e hanno lasciato un’impronta forte sull’immaginario collettivo di migliaia di giovani sardi. Testi rigorosamente in “limba” (in lingua sarda”), rock professato a 360°, penetrando dentro il crossover, il funky, il combat e una concenzione della musica vicina a quella del punk, un’identità politica assai delineata, sono stati mescolati una volta ancora, e speriamo e vogliamo credere, non ultima.
La difesa della propria terra è il filo conduttore di questo gruppo di artisti, visto che nel corso degli anni si è andato ad ingrossare sempre di più, che si riconosce in queste cifre stilistiche. La difesa della propria cultura e delle altrui identità è automaticamente interpretata come solidarietà con tutti i paesi, la lotta per l’indipendenza è lotta contro l’oppressione economica, e una strenua difesa per chi combatte per i propri ideali.
Dopo questa doverosa introduzione, torniamo alla serata.
Il gruppo di amici è sempre lo stesso, le birre sono ben fresche vicine al cruscotto, e il ritardo è quello solito.Costretto a parcheggiare fuori dal paese, per la fiumana di persone arrivate (in molti paesi si sono organizzati con i pullman), entrata a donazione libera, arrivo che ormai il piccolo avvallamento dove si svolge il live non fa vedere più un ciuffo d’erba, ma risplendono le braccia e i corpi dei convenuti.
La mia comparsa coincide esattamente con quella dei Kenze Neke. Un boato risuona nell’aria e si può iniziare. La gente inizia a cantare con Boghes de pedra (Voci di Pietra), si prosegue con Pantanu. Si va oltre con Zente (Gente), pezzo dalla bellezza struggevole, la dolce e malinconica Entula (Soffia via), la frenetica Americanos a balla chi bos bokene(americani che vi sparino a pallettoni, e via via a ripercorrere tutta la storia di questo gruppo, per raggiungere la bellezza di 32 pezzi e le tre ore di musica e sudore. Questi numeri raccontano la generosità del gruppo.
La folla sventola le bandiere sarde, basche, comuniste, indipendentiste dando un tocco di colore e di partecipazione notevole. I musicisti si alternano a caterva, ne ho contato più di dodici, una nutritissima sezione fiati, notevole le esecuzioni con chitarre multiple a sostenere le voci degli ormai “betzos” (vecchi) Enzo Saporito e Stefano Ferrando.
A mescolare come d’abitudine le carte sono intervenuti i tre tenores di Siniscola cantando As’andira, la bellissima esibizione dei Mamutzones di Seneghe sulle note del sublime inno sardo, scritto da Ignazio Mannu alla fine del settecento – Su Patriottu sardu a sos feudatarios, e la partecipazione del gruppo di amici Askra con un pezzo voce e chitarra.
Il gran finale arriva con le due canzoni che risolvono di più la tensione musicale e vitale dei Kenze Neke: l’amore viscerale per le proprie origini di Ke a sos irlandesos e ke a sos bascos e Una Cuppa de Cannonau, da urlare un po’ ubriachi.
Alle due di notte inoltrate, i Kenze Neke hanno salutato il pubblico anch’esso esausta.
Il tutto sarà poi rintracciabile prestissimo sul DVD “Arziati Entu” (Alzati vento) e il calore del pubblico ha allargato i margini per un possibilissimo e sacrosanto futuro, che fino a qualche giorno fa era inaspettato.
La festa, comunque, non è finita qui, arrosti di pesce e di carne, ichnuse a non finire ci aspettavano con il campeggio vicino alla Chiesa, e un bel dj set per chi non aveva domato ancora le proprie forze e voleva ballare fino a morire.
Il mio racconto merita una conclusione: le strofe di Ke a sos irlandesos e ke a sos bascos sono il mio migliore arrivederci:
Oh Sardinna custa est s’ora ki ti depes iskitare
E sos sardos tott’impare si nke pesen in bon’ora
Oh Sardegna è giunta l’ora di svegliarti
Ed i sardi tutti insieme si sollevino con te
Tandho a Cuba, tandho in Vietnam, sos irlandesos kin sor bascos
moviebos omines sardos! Bor depies iskitare.
Prima a Cuba poi in Vietnam, gli irlandesi come i baschi,
muovetevi uomini sardi! E’ giunta l’ora di svegliarsi