Lo ammetto non sono mai stato preciso con le ricorrenze, per fare un esempio sono un tipo scarso nei compleanni quanto nelle scadenze delle bollette. Qualche giorno fa aprendo gli occhi incispati da una delle mie notti da mezzo sonno e tanti risvegli spezzati, ho realizzato una cosa importante; Joe Strummer e i suoi Mescaleros sono passati da Milano, di preciso al Rolling Stone, ben 25 anni fa, in quella che fu per tutti noi giovani e non, un ritorno quasi messianico.
Nella ricorrenza di uno degli album più importanti della storia del rock, London Calling, quel colosso doppio e per nulla pesante che oggi compie i suoi primi 45 anni in piena salute, ho la sensazione che ben pochi di voi oggi ricorderanno quella serata, ancora meno il post serata. Chi ci pensa per voi? Il buon smemorato Sal Rinella di Paese, perché io c’ero e non ero solo.
Precedentemente Strummer si fece vedere con i suoi a Bologna, per uno strano e primo Indipendent Days, in cui timidamente suonò prima degli Offspring (per noi un’eresia). La mossa, da prima incomprensibile, ai miei occhi si rivelò vincente perché confermò così il personaggio che Joe era sempre stato; sincero, mai sbruffone e soprattutto uno di noi, uno di quelli che di essere il primo della classe non gli è mai fregato nulla. La conferma di quanto appena scritto non tardò ad arrivare, con abbondanza, in quel live di cui qui mi accingerò ora a scrivervi.
Come le migliori barzellette quella sera eravamo io, Lauz (Stefano, bassista e voce della allora mia band Berenice Beach, poi Gerson e ora Infiltrados), Fabry voce dei sempre verdi Crooks e Dario al tempo batterista dei Crummy Stuff; i quattro della strampalata Tre Accordi Records, avventura di cui magari un giorno si parlerà. Parto subito col dire che eravamo già al corrente ma non certi del fatto che Strummer apprezzasse particolarmente fare una capatina tardiva all’Atomic Bar, un fu locale dall’atteggiamento berlinese, sito nel dedalo di strade dell’area di Porta Venezia. La cosa ci faceva fibrillare al punto che durante il live il solo pensiero ci distraeva non poco. Ma torniamo a quello che fu la serata al Rolling. La band non si fece attendere e, come speravamo, la loro carica era di tanto maggiore rispetto allo show di qualche mese prima. Il mix tra le canzoni dell’allora nuovo album Rock Art and the X-Ray Style, uscito allora per Hell Cat Records, e i classici dei Clash crearono un’atmosfera davvero eccitante e la cricca se ne accorse. Il pubblico partecipò dalla prima all’ultima nota senza alcuna distinzione, nessuno fece pensare loro che ci fosse alcuna preferenza in merito alle canzoni, l’importante era essere lì con una leggenda vivente insieme alla sua nuova squadra. Il viso dei Mescaleros (ricordo molto bene il bassista) era illuminato da un sorriso quasi incredulo, Joe era iperattivo e sempre più avanti nel palco, sempre più a contatto con la gente, sempre più a stringere mani e cinque volanti. Quali canzoni hanno suonato? Senza tralasciare minimamente il loro disco in corso di promozione i Mescaleros non hanno temuto di eseguire opere come Tommy Gun, Wite Man in Hammersmith Palace, Safe european home, London Calling, Rock the Casbah e tante altre che mai avremmo potuto immaginare di sentire dalla voce di chi le eseguiva in origine.
Siparietto simpatico fu quello che un tipo che urlava ad ogni pausa tra un pezzo e l’altro “Joe facci Tommigan”, fu invitato sul palco dallo stesso Joe a leggere la scaletta e di conseguenza invitato, con il suo fare inglese, a non rompere più le palle.
La serata si conclude con una Bank Robber da lacrime dove non si è lesinato in abbracci e applausi, quella sera ci siamo sentiti parte della storia, forse non vero, ma l’emozione ci diceva così.
A proposito di storia e il dopo live cosa successe? Vi interessa? Qualche secondo dopo l’ultima nota, la voce che Joe facesse serata all’Atomic Bar fu confermata dal massimo che allora la tecnologia concedeva; un sms ricevuto da Dario, era lui “l’uomo del contatto”. Veloci come razzi ci recammo nel locale speranzosi e su di giri. Non ci fu nemmeno il tempo di perdere la speranza che Joe varcò la soglia del locale come un qualsiasi avventore in compagnia dei suoi amici. La follia ci prese, cercammo di restare composti, ci riuscimmo fino ad un certo punto. Io ero munito di dischi, tshirt omaggio dei Berenice e due 45″ da autografare (li vedete qui sotto). L’ccasione si prestò al volo; un compare di serata di Strummer si concesse il doveroso salto al bagno lasciando vacante un posto. Non attesi un secondo e lo occupai. Io (tremante) e Joe Strummer faccia a faccia: “Ciao mi chiamo Sal e ho dei regali e qualcosa da autografare” Joe “Ok!”. Da li i miei compari si palesarono come spiriti invocati, lui concesse autografi e accettò ogni tipo di omaggio (gli regalai la maglietta dei Berenice Beach che lui scambiò per quella di un club di surf), spuntarono da dietro altri prima timidi fans con bottiglie di vino e pennarelli. Non era il tempo dei telefoni invadenti, ciò fece si che potessimo passare la notte più bella della nostra vita tra racconti d’epoca e litri di birra. Finimmo col fare tutti insieme la fila al cesso, bere ancora, parlare di musica, di quanto l’anfetamina fosse stata presente nelle scritture degli anni 70, delle caramelle per la gola, dei suoi denti (gli chiesi quale fosse quello falso e lui mi rispose che tutti lo erano) e del rapporto sempre sincero dei Clash con i fans, cosa di cui in quel momento eravamo la prova vivente.
Una argomento in particolare che sollevammo ricordo che lo colpì molto, fu quando gli chiedemmo cosa ne pensasse degli imitatori dei Clash (quel periodo si diceva Rancid su tutti) e in generale del movimento che si era risvegliato maggiormente negli ultimi sei anni. Lui abbassò la voce, era già notte fonda, e disse: “non dovete prendervela con chi copia, clona, riprende e ripropone. Noi stessi eravamo dei cloni dei Ramones, se non lo avessimo fatto non sarebbe accaduto nulla. Non bisogna fermare queste band con le critiche inutili ma lasciarle fare, farle progredire e dare loro la possibilità di prendere la loro strada” Lo avreste mai detto? Io si, ma sentirlo dalla sua voce ancora oggi mi da i brividi.
La serata si concluse con un tasso alcolico da centro di recupero, saluti come grandi amici da sempre e una felicità incalcolabile. Abbracciai Strummer sollevandolo da terra e strapazzandolo non poco, era sorprendentemente di statura media e leggero come una piuma. Il mio abbraccio fu complice (dell’acol) perchè potesse dimenticare la sua sciarpa sulla sedia. Confesso che il pensiero di acquisire un ricordo in più mi prese, ma non cedetti e mi lanciai fuori dal club per portare l’accessorio al suo legittimo proprietario. Ciò permise un ultimo, più personale e pacato saluto.
Non mi darò alle tristezze, non vi dirò che se fosse rimasto tra noi le cose sarebbero state differenti, magari poco, ma sicuramente differenti.
Quella sera io c’ero (come in Breda per il video di Never Trust a Punk dei Crummy Stuff, visto che c’era pure il loro batterista, altro momento notevole da amarcord). Che serata indimenticabile. Quella sera ero solo, e Joe appena apparve sul palco mi sembrò diverso da come l’avevo sempre visto in foto, un pò invecchiato ovviamente, ma il tempo di scaldarsi e la verve della suo musica si dimostrò intatta… e quando suonarono i pezzi dei Clash… mamma mia che botta, quanto eravamo gasati, fu davvero esaltante. C’era un sacco di pessima bella gente quella sera, la crème. Voglio confessare che tra le istantanee che ricordo c’è pure una tipa di cui mi invaghii subito, una biondina col viso affilato, camicia bianca colletto alzato, sguardo altero e confidenza assoluta col momento. Mi sembrava un pò tutto un regalo per me, come il fatto stesso del poter vedere Strummy dal vivo. Pochi giorni dopo finì il millennio, quello a cui sento di appartenere, ma finì davvero col botto.