Intervista ai Talco – Punk, politica e qualche sassolino dalle scarpe.

Dema non è mai banale ne tantomeno democristiano quando gli si fa qualche domanda. Dopo l’EP “Insert coin” ecco il momento di far partire il “Videogame” per i Talco che per la band veneta segna l’ottavo disco in studio. Buon divertimento! 

Eccovi ritornare con un nuovo album in pieno stile “Talco”. Parlaci di questo nuovo Videogame, cosa possono aspettarsi i vostro fan da questo nuovo disco?

È il momento più importante della mia vita nei Talco, senza il quale avrei deciso di fermarmi, e invece grazie al quale ho deciso di non fare questa enorme stupidaggine di cui mi sarei pentito. Sono molto poco obiettivo proprio per motivi affettivi. Cosa ci si aspetta? Spero un disco Talco e che non deluda le aspettative. Abbiamo sempre cercato di essere noi stessi, senza presunzione né pretesa di fare qualcosa di nuovo. Ci siamo sempre ritagliati uno spazio per personalizzare il nostro stile all’interno di un genere  che amiamo, attingendo poi da altro che ascoltavamo in quel determinato periodo, folk, patchanka, ska, ma sempre all’interno di una base punk-rock. Proprio per questo abbiamo deciso di far produrre il mix e il master ancora a Jason Livermore del Blasting Room. Videogame è un album molto tirato, allo stesso tempo melodico, un concept album che parlerà parallelamente di argomenti che ci stanno a cuore e di sterzate più autobiografiche, forse in questo caso, molto più presenti e centrali rispetto al passato.

Questo disco è stato scritto e registrato due anni fa quando vivevamo, permettimi, in un altro mondo: covid, guerra in Ukraina, no-vax, rigurgiti fascisti ad ogni latitudine non erano lontamente all’orizzonte. Pensi che “Videogame” sia arrivato fuori tempo massimo oppure, come credo io, sia in qualche modo profetico?

A dirti la verità vedo Gran Gala ancora attuale ed è uscito esattamente dieci anni fa, figuriamoci Videogame (ride). Purtroppo vedo una triste linea di continuità tra Gran Gala e i successivi album. Siamo partiti da un momento in cui la personalità politica di Berlusconi stava decadendo assieme al suo ultimo governo. Ci sembrava il momento giusto per parlarne, proprio perché lo consideravamo non come la fine di tutto, quanto come una situazione in cui l’uomo stava crollando, ma la mentalità che aveva sfasciato cultura, morale e politica di un paese era viva e vegeta e aveva infettato tutti gli italiani, sia a destra che a sinistra.

Da una costola ancora in vita del mondo berlusconiano è nato tutto il male che ci portiamo dietro attualmente: la bassa moralità mondana sfociata nei social, il qualunquismo e l’impreparazione culturale a causa di cui han trovato terreno fertile realtà come la Lega di Salvini, e Fratelli d’Italia, con il loro agire immorale, tra falsa propaganda, mondanità da mojito, esibizioni patetiche e propagandistiche di religiosità profana, collusioni con la ‘Ndrangheta, propaganda russa. Non dimentichiamo nemmeno i 5stelle, che per quanto con di un paio di messaggi moralmente pure condivisibili, si sono rivelati portatori di un’ideologia lobbistica gerarchica, in cui la poca professionalità e conoscenza di quello a cui andavano incontro, li ha ridotti a macchiette a volte dannose, e altre volte pure fagocitate dalla casta che essi stessi combattevano. E ultimo ma non ultimo il Rottamatore sfascia-governi che fa conferenze pagato da tagliagole sauditi.

Tutto questo bordello squallido di impreparazione politica, sotterfugi, clientelismo, fake-news, odio nei social, immoralità, è figlio di una mentalità che sembrava morta solo perchè era crollato il governo Berlusconi, ma purtroppo ne abbiamo visto le tragiche conseguenze ora….in cui Berlusconi oltretutto va pure al governo!

Ci sono canzoni come Muro di Plastica, Paradise Crew, Game Over che mi sembra davvero di averle scritte il giorno degli exit-poll. Descarrila in particolare è una canzone a cui sono affezionato, perchè parla di un mondo di cui faccio parte e a cui voglio bene, ma purtroppo in crisi irreversibile. Tutta questa pretesa anacronistica, stupida e stantia di strapparsi a vicenda l’eredità della resistenza, per mettersi a comando di un presunto movimento, è stato quello che ha distrutto la mia generazione, a partire dal G8. Potremmo e dovremmo sempre dare la colpa alla gestione criminale dello stato in quel di Genova, ma non dimentichiamo la prepotenza post-G8, con cui chiunque all’interno dei movimenti si arrogava il diritto che non aveva di sentirsi più puro o resistente degli altri.

Un suicidio che ha fatto scappare un mondo variegato e costruttivo. Viviamo prepotentemente di idee passate, non abbiamo nulla di nuovo e abbiamo fatto deragliare anche con le nostre mani una locomotiva che andava a 1000 all’ora, fiera della propria eterogeneità.

Non riesco a non vederlo attuale questo album anche se ha già due anni.

Rimanendo in tema, la mia canzone preferita del disco è “la venuta della banalità”: “Fatturar facili palpitazioni e annunciare la venuta di banalità celebrando la storia con un copione a memoria”. Alla luce del triste risveglio per l’Italia di questo 26 Settembre, come ti senti a rileggere queste tue parole? Siamo all’inizio di un nuovo fascismo o citando Marx questa volta la storia si ripeterà come farsa?

Non saprei dirti nulla sul futuro, mi baso solo su impressioni personali degli ultimi 10-20 anni di politica. L’Italia è una macchina con un autista in stato di ebrezza che si diverte ad andare contromano, sta per fare un frontale, tira il freno a mano e torna indietro…per poi andare contromano di nuovo! Perchè?

Secondo me perchè viviamo da decenni delegando ad altri il nostro pensiero. Mi dirai, è la base della democrazia rappresentativa. Vero, ma infatti parlo di pensiero, non di voto. Siamo pigri e ci piace credere in qualcuno per non sporcarci le mani, senza sentirci in colpa se la persona a cui abbiamo regalato il nostro silenzio, si rivela poi pericolosa per il futuro e il presente del paese. Seguiamo il copione di un guru, deleghiamo, viviamo passivamente tutto.

Per questo ho pensato di scrivere La Venuta Di Banalità, e, nel momento in cui stavo preparando il testo, mi stavo accorgendo che stavo pure parlando alla mia “virtuale barricata”: viviamo di facili palpitazioni, ci basta lo slogan facile per sentirci apposto con la coscienza. Persone che parlano esclusivamente con frasi già preconfezionate, non solo in politica, in ogni settore della società. Pensa alla musica alternativa: quanto opportunismo c’è in questa realtà di adepti alla banalità, in cui sguazzano pure realtà musicali, scrivendo testi da bambini dell’asilo per un applauso facile? Parte tutto da queste piccole cose, non c’è rispetto per la cultura, ci manca il coraggio, la voglia la ricerca, a cui preferiamo la delega di un pensiero. La banalità è la peggiore malattia della società contemporanea.

“Videogame” per me offre una duplice lettura: da una parte c’è una profetica critica a questi tempi bui ma d’altra parte è anche forse uno dei concept piu intimi e personali che hai scritto. Come ti senti a “giocare” questo personale videogame?

È stato molto intrigante per me, anche se sapevo che avrei rischiato di andare incontro ad un problema: rompere con la timidezza, scrivendo in prima persona qualcosa sulle proprie debolezze, nel mio caso l’ansia, poteva cadere in una triste autocommiserazione da influencer con la lacrimuccia, a cui non volevo arrivare. Ci stava avere esigenze differenti e non ripetersi, ma non è nella mia indole annoiare la gente su argomenti personali.

Volevo pensare all’ansia come a qualcosa creato dalla mente, senza la quale non esisterebbe. Lo stavo vivendo personalmente, ero stanchissimo, avevo paura di spezzare la voce e non poter fare tutti i concerti, non mi fermavo mai, i cattivi pensieri si alimentavano di questo stress sempre più pericolosamente, fino a farmi pensare di cambiar vita, il mio cane oltretutto era morto (per chi può capire è un affetto pari ai propri cari, non avrei mai scritto “Ultimo Viaggio” se pensassi altrimenti)

Se avessi scritto un disco esclusivamente su quello che provavo, forse sarei risultato non solo incompreso, ma soprattuto patetico. E me lo sarei meritato. Ho pensato invece di cercare di partire dal tema della paura personale, per analizzare la società che mi circonda. La paura intesa come creazione della mente, credo sia alla base dei nostri disagi: intimi, di pensiero, di pancia, politici, di tutto. Pensa al razzismo. Qualcuno propaganda il terrore nei confronti del diverso, chi starnazzando “Sono una madre, sono italiana”, chi citofonando da ubriaco (senza rendersi conto che quello che spacciava era nel suo partito). Uno crea la paura, un altro rimane fagocitato e inizia a imprecare contro l’immigrato che uccide gli italiani o ruba il lavoro, la paura si sparge a macchia d’olio e diventiamo il popolo ignobile e senza empatia che siamo ora. E per qualcosa che non esiste nella realtà, la paura.

Oltretutto, viviamo in una società barbaramente competitiva, e proprio quella paura frenetica che non esiste, ci spinge a correre senza sosta, terrorizzati da questo spirito comparativo che ci propinano dalle scuole elementari, non c’è tempo per la profondità, per sostare, perchè dobbiamo correre, essere sempre davanti a questa gara incessante per essere i migliori, nei bar, a lavoro, dietro lo schermo di un telefonino ecc. Ci viene propinata la menata del leone e della gazzella, quando è proprio “l’obiettivo” che ci sta rendendo più spaventati, vuoti, legati alla vittoria a scapito degli altri, all’esibizionismo sterile.

Le conseguenze le abbiamo davanti agli occhi: una banalizzazione estetica della cultura, che si sente a posto con la coscienza con un meme su Facebook o su messaggi telegrammatici superficiali. Pura forma e nessuna sostanza. 

C’è chi per paura di essere emarginato si lega a un credo, un’ideologia, un guru, perchè spaventato dal fatto che anche una minima volontà di cambiamento sia mal vista da chi “compete” con te nella rete che non perdona. Ci sentiamo fighi a seguire poi quell’ideologia dentro una campana di vetro che chiamiamo “nuova” o “pura” contro chi non lo è. Chiediamo ad essa il parere su tutto, diventando individui di seconda mano.

Pensa ai movimenti: a cosa è dovuta questa crisi? In una società come quella dello spettacolo, l’ansia sta proprio nel timore di pensare con la propria testa, e si finisce per farsi dare dei traditori da quattro gatti che si sentono “più puri di te”. Credo che la paura abbia annientato quella meravigliosa velleità  disinibita, “anarchica” di pensare con la propria testa, di cui la collettività che si arricchisce. Viviamo in un’alienazione ideologica in cui si crede o si vuol far vedere di avere tutti la verità (d’altri) in pugno. E la paura è il motore principale.

Per questo ho cercato di partire da un sentimento personale per analizzare tutto l’ambiente circostante. Mi sembrava un buon punto di partenza, spero di non aver pisciato fuori dal vaso ahaha.

L’ultima volta che ci siamo parlati era alla vigilia del “Punk in drublic”: avete realizzato il sogno probabilmente di qualsiasi punk band italiana (e chi lo nega è perchè ha un biglietto prenotato in crociera).  Cosa ti porti dietro da questa esperienza? Raccontaci la scena piu bella che hai vissuto.

Mi porto dietro naturalmente tanta tanta soddisfazione. È stata davvero una bella esperienza, specie perchè ci siamo resi conto che da parte del Pid c’era la volontà di valorizzare anche il nostro progetto. Ci hanno sempre trattato come membri della famiglia, abbiamo sempre suonato a orari favorevoli, molte volte eravamo terzultimi a esibirci, siamo molto lusingati per il trattamento ricevuto e non ce l’aspettavamo. Non c’è stato un concerto in cui il nostro set non sia andato bene, non l’avrei mai detto davvero. Certo, in alcune città ci speravo, ma in altre non ci credevo per nulla. Vedere perfino nella penisola scandinava – dove non eravamo mai stati – il pubblico così partecipe e carico ai nostri concerti è stata una soddisfazione enorme!

Beh, sui ricordi particolari di solito c’è sempre di mezzo Fletcher, tra alcol bevuto da una scarpa lanciata dal pubblico a Milano (e fatto bere a Fat Mike), bassi e chitarre dei Nofx rotti durante il loro set, bisogno di mostrare come si si taglia un braccio con un cavatappi, etc.

Ho notato due cose del PiD: alcune band erano in tour piu per portare a casa la pagnotta che per divertirsi e l’età media del pubblico era molto alta. Non ti chiedo di giudicare le altre bands ma la seconda si: quando e dove ci siamo persi i piu giovani? Cosa è andato storto negli ultimi dieci anni?

Non c’è stato ricambio generazionale purtroppo: sicuramente il fatto che molte bands comincino ad essere avanti con gli anni e il pubblico giovane non si riconosce è una delle cause.

Ma forse è più grave, per il punk mondiale, il fatto che non si vedano nuove realtà ai livelli della generazione dei Nofx, No Use For A Name, Lagwagon, Propagandhi, Good Riddance, etc. Non c’è stato niente per molti anni, e le nuove generazioni non hanno potuto godere di un cambiamento. Risultato: ci andiamo solo noi ai concerti.

E infine vedo anche una chiusura relativa alla società competitiva di cui ti dicevo prima. Tutti parlano con la solita massima vuota “ai nostri tempi era meglio”, e un ragazzino (che vuole riconoscersi in qualcosa, proprio perchè giovane) si sente inibito ad ascoltare punk, perché circondato da veterani che lo giudicano. In molti concerti che ho visto, alcuni dei quali sulla soglia dell’imbarazzante, alcuni dicevano che era il concerto migliore che avessero mai visto, “perchè loro sono questi”  “che ne sai tu di punk, io ci sguazzo da anni” “pause, barzellette, che non facciano le solite hit questo è punk!” ecc. Cosa ci aspettiamo? Che un giovane ascolti punk sentendo questi discorsi da poser?

Poi vabbè, le generazioni nuove come ti dicevo non le posso capire, ho 42 anni, ho vissuto un altro mondo ed è normale che non abbia la confidenza culturale e sociale di comunicare efficacemente con tutti. Dobbiamo comprendere che la mancanza di comunicabilità con un nuovo ambiente dicendo che “noi eravamo meglio”, non aiuta certo un giovane ad avvicinarsi al punk.

Non solo “Punk in drublic” ma anche la prima edizione dello “Ziggy fest” dove si sono alternate le principali band degli anni 90 della scena Italiana. Venti anni fa quel cast avrebbe fatto almeno una decina di migliaia di persone, ora pareva un raduno di nostalgici della scena. Siamo all’inizio della fine di quella scena punk Italiana per come la abbiamo conosciuta?

Lo Ziggy Fest è stato anche molto sfortunato per la bufera che c’è stata nella seconda giornata. Noi ci siamo divertiti moltissimo. Credo che le cose vadano analizzate a lungo termine, vedere cosa è andato bene, cosa male e ripartire con l’entusiasmo giusto, ce ne fossero di più come il buon Ziggy, in Italia avremmo una scena adesso.

Quanto ai vecchi nostalgici, cadiamo sempre sulla scena italiana e le ingerenze varie. O il punk italiano si rinnova e lascia da parte chiacchiere, recinti e finzioni da social, chiacchiere, chiacchiere e chiacchiere, o di festival e concerti ce ne saranno sempre meno. Mi sono trovato a leggere su una locandina “realtà nuova dello ska-punk italiano”….realtà nuova? Ho 42 anni, è come dire che Quagliarella è un giovane di prospetto!

Abbiamo bisogno dei giovani ma li mortifichiamo dicendo quello che ti ho detto prima: “Noi eravamo meglio”. Ok avete ragione, bravi: eravate meglio contenti? Ma adesso non fate più un cazzo di gente, è inutile continuare a blaterare, suonate, mettetevi in discussione come facciamo tutti, in bilico tra una soddisfazione e un fallimento, oppure lasciate spazio ad altre realtà senza mortificarle a suon di pubblicità finte in internet o discorsi fantasy di una “scena” che è morta e decrepita da anni.

Se riusciremo a darci manforte e uscire da questo impasse che c’è – almeno a quando vedo – da quando abbiamo iniziato a provare ad organizzarci qualche tour all’estero, sicuramente il punk andrà avanti in Italia. Altrimenti, si girerà tutto sempre attorno ai soliti pettegolezzi, i soliti recinti di chi ripete come un mantra “noi eravamo la scena”.  

Grazie per la sincerità. Si a me fa molto ridere che spesso queste critiche le sento da chi suona davanti a 5 persone ma si fa le foto fiche per Instangram per farlo sembrare Wembley o gente che il massimo abbia fatto sono cover stonate. E diciamocelo pure francamente: quello che succede nei patri confini a voi interessa fino ad un certo punto in quanto il vostro pubblico è saldamente oltre confine. Disco in uscita e tour in partenza: con quali emozioni affronti questo nuovo tour?

Lo affronto molto più sereno e con la consapevolezza che c’è una nuova normalità da affrontare: due anni di crisi della musica dovuti allo stop covid non sono passati inosservati, ma sono molto positivo e fiducioso nel futuro, per ora sta andando tutto alla grande. Abbiamo un bel tour e l’estate si presenta già con qualche sorpresa di cui siamo fieri. Affronto tutto con serenità e felice di quello che ho, sono sicuro che ci divertiremo moltissimo con Videogame.

Pensi che con questo tour vi vedremo piu spesso qui in Italia o dobbiamo arrenderci all’idea che Young Signorino sarà il nuovo alfiere del punk Italiano? 

Certo che suoneremo in Italia a-u-au-au-a….scherzi a parte, stiamo organizzando qualcosa per marzo-aprile 2023, nel 2002 abbiamo fatto delle belle cose anche in Italia grazie a Trivel, ci stiamo godendo belle soddisfazioni anche a casa nostra. Faremo 5-6 concerti in Italia nelle sale, e per l’estate spero davvero che si possa continuare sulla lunghezza d’onda del 2022!

5 comments
  1. Il discorso ,seocndo me è un pò più complesso ,riguardo i vecchi che dicono “erano meglio i nostri tempi ,questo non è punk”
    Oggi tutto viene etichettato come punk ,questo è il vero motivo della diatriba .
    Qualcuno starà già pensando” non puoi definere cosa è punk o no,perchè non sarebbe punk”
    Certo, ma non puoi usare la parola punk, che ha una sua precisa matrice di espresione di subcultura giovanile,per etichettare qualsiasi genere di bands.
    Il punk non è solo musica,ma cultura antagonista del sistema .
    Da questo,una persona che ha vissuto il punk negli anni 70/80 ,in conetsti sociali impegnati e non solo musicali ,sicuramente non comprende il piglio scanzonato delle bands punk rock moderne ,e tanto meno la finta ribellione di bands da “college americano ” colorate e figlie dell’industria .
    Ciò non vuole dire che per essere punk ,bisogna vivere in una comunità emarginati su una monatgna,ma da questo a quello che fanno molte band odierne ,si può fare di meglio .

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