Tutto vero: questo settembre abbiamo avuto l’onore di essere ospiti di EPITAPH RECORDS a Los Angeles, durante una vacanza negli States.
Quale occasione migliore dei 25 anni di Punkadeka e questo viaggio per produrre un po’ di contenuti speciali? Vi abbiamo già parlato del Final Show dei Nofx (qui parte 1 e parte 2), non potevamo perderci l’opportunità di incontrare questa leggendaria etichetta che non ha bisogno di presentazioni, la cui storia si è spesso intrecciata con la nostra in questi lunghi anni, seppur ad un oceano di distanza.
Arriviamo agli uffici sulla Sunset Boulevard in tarda mattinata e veniamo accolti da Sue Lucarelli, attuale president di Epitaph. Ci mostra subito l’edificio iniziando a raccontarci un po’ degli innumerevoli cimeli che si trovano ad ogni angolo: foto originali (da Joe Strummer alla copertina di Age of Unreason dei Bad Religion), dischi rari, poster e ovviamente riconoscimenti vinti negli anni. Non ci sembra vero e siamo super emozionati, oltretutto gli uffici in sé sono davvero bellissimi e accoglienti: che sogno lavorare qui!
Lo sapevate? Nell’ufficio c’è un GONG che viene suonato ad ogni nuova uscita dell’etichetta!
Breve sosta caffè e inizia la nostra chiacchierata con Sue, che si mostra davvero gentilissima e pronta alle nostre domande da studenti che hanno fatto i compiti.
Ciao Sue, grazie mille per il tuo tempo, siamo onorati! In questo viaggio stiamo cercando di ricomporre un po’ i pezzi del puzzle del punk rock in California, storia in cui Epitaph è ed è stata assoluta protagonista.
Partiamo dall’inizio: Epitaph Records nasce nel 1980, sulle fondamenta del punk californiano anni ’70, che tra X e Adolescents prende forma con un sound e un’identità precise. Pensi che questa prima generazione di punk abbia influenzato in qualche modo la nascita dell’etichetta?
Io in quel momento chiaramente non c’ero ma assolutamente, posso provare a rispondere! Ai tempi quando l’etichetta stava iniziando a prendere forma, è nata perché Brett Gurewitz, proprietario e CEO, l’ha fondata proprio per la sua band, i Bad Religion. Era in una band punk, veniva da quell’ambiente, e voleva pubblicare il suo disco: da lì ha iniziato a voler fare uscire anche i dischi dei suoi amici e così via. Penso che l’etichetta in sé abbia aiutato a dare forma al sound della scena punk della California del sud (SoCal), ancora oggi: gran parte del SoCal punk è uscito da qui o ne è stato influenzato.
Infatti Epitaph ha avuto un ruolo importantissimo nel rilancio del genere alla fine degli anni ’80. Suffer nel 1988 è il disco che probabilmente ha ridefinito il SoCal punk: c’era consapevolezza di ciò che stava per accadere e della portata di questo movimento?
Ero molto giovane (molto, avevo 4 anni!). Non posso parlare per Brett, ma so per certo che loro sentivano che forse era arrivato il momento giusto. Sapevano che delle cose stavano succedendo e a quei tempi la scena si stava semplicemente evolvendo. Sai, stava diventando più popolare, più fiorente a Los Angeles ma non puoi mai davvero sapere in anticipo cosa succederà. Lo stavano vivendo in quel preciso istante, c’erano dentro, con i propri amici. Penso che conoscendo molto bene quella cultura, probabilmente iniziavano a notare sempre più ragazzini ai concerti. Stavano prosperando, gli show stavano prosperando: credo che sapessero che qualche puntino si sarebbe collegato prima o poi.
Quando arrivano le nuove generazioni ai concerti, è sempre un buon segno. Lo vediamo anche noi soprattutto -pare- nella scena Street/Oi.
Assolutamente, la scena sembra avere dei cicli, ogni tot anni c’è qualcuno che vuole rientrarci. Quando si avvicinano i kids è perché in quel momento la stanno scoprendo oppure si sono appassionati sentendo quella musica da fratelli o genitori e ora vogliono reinterpretarla, farla loro. C’è ancora del punk rock figo nel loro DNA, ma è un po’ più vicino alla produzione musicale moderna.
Oltretutto penso che grazie ai social media è semplicemente più accessibile tutto, anche il punk ovviamente. Ascolti una playlist e ti si apre un mondo, il nostro modo di ricercare nuova musica (andando per negozi di dischi) era semplicemente diverso.
Tornando a noi, sicuramente il secondo punto di svolta c’è stato con l’uscita di Smash degli Offspring nel 1994 e gli altri successi che seguirono. Pare che il periodo tra il ’95 e il ’96 venga definito “il miglior momento per il punk rock a Los Angeles”. Lo fu davvero? In generale cosa pensi che caratterizzi e diversifichi il sound del SoCal punk rispetto agli altri?
Penso che molto di quel sound abbia a che fare con l’atmosfera. Non so come spiegarlo ma penso che tutto l’immaginario legato al surf, al rock, alla skate culture, creasse qualcosa di molto diverso da ciò che usciva per esempio da Chicago o da New York, dove la scena era più hardcore, più dura, con breakdown dritti in faccia. Immagino che anche il clima influisca, la luce della California, tutto suonava più divertente, più felice e positivo. Dall’altra parte era semplicemente più oscuro, più cemento: vibes molto diverse e un sound decisamente diverso.
Pensi che il punk sia ancora rilevante oggi?
Sì, penso che lo sia ancora. Firmiamo ancora con band che hanno il punk rock nel loro DNA, che magari non suona necessariamente come la tradizionale punk rock band dei 3 accordi, ma ce l’hanno. Che vogliano andare controcorrente o combattere il sistema, sai che hanno qualcosa da dire e vogliono gridarlo. Penso che escano ancora cose molto fighe.
Epitaph nel frattempo è diventata grande, forse qualcosa di diverso dall’inizio. Funziona ancora attraverso lo scouting, ovvero con la ricerca di band completamente nuove oppure sono impegni che si formalizzano con band conosciute o con un po’ di storia alle spalle?
È un mix di entrambi. Ci piace firmare con band che spaziano tra l’appena nate a quelle affermate, come i Social Distortion. Oppure appunto con band del tutto nuove, come gli Sleep Theory: abbiamo fuori circa 5 canzoni e crediamo molto nel loro progetto. Insomma, ci piace lavorare con vari tipi di band, di diversi generi, fintanto che hanno un po’ di punk rock nel proprio DNA. Non firmeremo mai niente di realmente mainstream: ci piace da sempre supportare ed è il punto dove siamo oggi.
Punkorama penso che sia una delle migliori compilation di sempre e allo stesso tempo trovo sia un modo perfetto per promuovere nuove band. Ad oggi come supportate gli artisti emergenti?
Sicuramente li supportiamo aiutandoli a realizzare i loro dischi e continuando a farlo. Ad oggi si fa anche “playlisting”: le playlist sono diventate praticamente le nuove compilation. Li aiutiamo a mettersi nel giusto tour per loro, che siano opener o headliner, è importante aiutarli ad essere la band che vogliono essere. Per certi versi, alcune cose sono le stesse che facevamo negli anni ’90!
Ci assicuriamo che i loro social media siano dove loro vogliono che siano, pensiamo sempre a come promuovere la loro musica in modo che si sentano completamente a proprio agio.
La dimensione dei live è ancora molto importante per voi?
Assolutamente, gli show sono importantissimi. È molto deludente quando la band non è in grado di proporre un buono show, se hai sentito il disco in genere arrivi super eccitato ai live per sentirlo suonare. Credo che tra pandemia e streaming molti artisti che si basano sui singoli siano stati molto meno in prima linea. Ora penso che ne abbiamo bisogno, nonostante sono consapevole che stia diventando molto costoso: andare a tanti concerti con questi prezzi dei biglietti è diventato difficile.
Possiamo dire che da un certo punto in poi nella vostra storia c’è stato un cambio di genere (probabilmente iniziato con Tom Waits) dove ora troviamo anche rock sperimentale, hardcore… insomma un roster molto variegato. Cosa c’è dietro questa scelta?
Semplicemente ci piace essere così: eclettici. È divertente. Ci piacciono diversi tipi di musica e non penso che rimanere in una sola corsia possa portarti da qualche parte. Ci può essere una band hardcore o indie rock che ci colpisce, vogliamo lavorare con chi ci piace, certo, se sono brave persone. Giusto?
Quindi insomma: conta la proposta musicale ma anche altro?
Sicuramente scegliamo di credere nel progetto musicale, però conta anche che tipo di persona sei. Ci è capitato di decidere di non lavorare con qualcuno per questa ragione. Quando firmiamo vogliamo aiutarli con le loro produzioni musicali, fare grandi dischi insieme e promuoverli, vogliamo esser parte del loro team: questo è tipo il nostro principale obiettivo. Non è tanto per noi, non si tratta della label: si tratta degli artisti, vogliamo renderli felici e a proprio agio nel promuovere la propria arte nel modo in cui vogliono faro.
“We like to be artist-friendly 100%”: hanno il completo controllo creativo, noi come etichetta poi ci siamo, ormai abbiamo tantissimi anni di esperienza. Non facciamo A&R in modo rigido, non ti diremo mai che devi andare da questo o quel produttore, piuttosto, facilitiamo.
Domanda secca: possiamo considerare tutt’ora Epitaph come un’etichetta indipendente?
Certo, al 100% indipendente, è ancora posseduta solamente da Brett che ne è proprietario e CEO. È lui la persona che chiami quando serve che venga risolto qualcosa e a cui rispondiamo!
Qui in California ci sono tante altre etichette indipendenti importanti per il genere, come ad esempio Fat Wreck: com’è il rapporto tra voi, amici o competitors?
Oh, molto amichevole! Non possiamo definirci competitor o simili. Brett è stato amico di Mike per anni, quindi super amichevole. Pensando anche a Hellcat: lavoriamo con Tim tutto il tempo su alcuni progetti e il nostro team lavora con loro. Siamo molto amici anche di Hopeless records, Fearless records… ci sentiamo con queste persone, siamo in questa industria insieme, cerchiamo di aiutarci. Stessa comunità, stessa industria.
Ad esempio i team Epitaph e Fat Wreck si sfidano sempre al Punk Rock Bowling Tournament, assurdo: si arrabbiamo perché i nostri team sono molto forti! Tra i nostri c’è anche il famoso Jeff, di “Jeff Wears Birkenstocks?” che è stato uno dei nostri primi dipendenti.
If you win, everybody wins…
Esatto. Siamo fan di questa musica e vogliamo aiutare le band, ci sfruttiamo anche per dare maggiore visibilità a questi artisti.
Qualche band che ti entusiasma al momento? Qualche nuova uscita in programma per Epitaph?
Abbiamo da poco pubblicato un grande disco con i Falling in Reverse, magari non tanto nei binari del punk, ma lo troviamo assolutamente fantastico e sono molto entusiasta di tutto questo progetto (ci sono voluti 7 anni per questo album!).
Poi ci sono gli Sleep Theory, un’altra band che abbiamo da poco nel roster. Sono più rock, crediamo stiano facendo molto bene. Insieme a loro, i Nevertell con il loro sound tra rap, rock e new metal. Ci sono anche gli Split Chain dal Regno unito, che mi ricordano molto i primi Dead to Me e che fanno questo genere che chiamano “nu-gaze”, un misto tra numetal e shoegaze.
Amo i The Menzingers, sono una delle mie band preferite, non solo come etichetta ma in generale. Sono fan e amo quello che fanno e di come si sono evoluti negli anni! Sono molto curiosa di quale direzione prenderanno.
Sulle altre uscite, abbiamo lavorato molto e sono in arrivo cose molto interessanti per il prossimo anno da band come Bad Suns, Architechts e Parkway Drive.
Sue, vorremmo chiudere raccontando qualcosa di te.
Personalmente, io amo lavorare qui, sai. Ero e sono ancora una grande fan dei Bad Religion ed è da lì che è iniziato tutto: ero sulla message board della band per chattare un po’, scambiavo dei messaggi con Brett, e mi decisi ad andare a vederli suonare in California. Al tempo vivevo sulla East Coast, nel New Jersey, vicino a New York: presi un volo e andai a vederli suonare, mentre ero al college. A fine concerto mi decisi a chiedere a Brett: “posso lavorare con voi?”. Mi disse di no, che non stavano assumendo, ma che avrei potuto guardare qualche programma di stage. E quindi iniziò il mio tirocinio per avere i crediti per il college; qualche tempo dopo la sua assistente si licenziò e così, anche se ero ancora una stagista, applicai per quel ruolo. Sono stata la sua assistente per tipo i successivi 16 anni.
In definitiva, se mi chiedi di quale album io sia più orgogliosa, non posso che rispondere i dischi dei Bad Religion: per me era il massimo, ero una super fan, in qualche traccia ho anche potuto fare i cori, che è una cosa davvero fantastica per me. Posso davvero definirlo un long-term achievement.
Ringraziamo di cuore Sue per l’accoglienza e Epitaph per l’ospitalità!
Un grazie gigante anche a Cuzzo Lillians che mi ha supportata durante questa intervista e chi ci ha dato qualche dritta.
Intervista e foto di Amanda Milan.