PUNKADEKA FESTIVAL 25th Anniversary

I Wish I Lived This Life: la mia intervista ai Lillians

Ciao Marco e benvenuto su Punkadeka! Innanzitutto, mi fa molto piacere aver avuto la possibilità di condurre quest’intervista perché siamo amici nella vita reale e quindi nessuna formalità! Iniziamo. Siete una band fresca di formazione ma non ti chiederò “Ciao, chi siete?”, sai che non sono fan di quella domanda ma piuttosto ti chiedo perché avete deciso di formare una band ora. Nel senso, non siete di primo pelo (io anche eh ahah) e di solito le band a quest’età tendono più a sciogliersi che a formarsi, chi mette su famiglia, chi per impegni di lavoro, chi per le responsabilità che la vita adulta comporta, o semplicemente per il poco tempo ed energie a disposizione rispetto a un ragazzino di 18 anni, mentre voi avete fatto il contrario. Perché? Racconta!

Ciao Vale ti dico già che sono super contento anche io di fare questa cosa con te.

Credo che la risposta più semplice a questa domanda sia che tutti e tre sentiamo dentro questa urgenza di fare musica, di provare a raccontarci e raccontare qualcosa, banalmente tirare fuori quello che abbiamo dentro. Vero non siamo dei diciottenni, ma forse ancor di più e a maggior ragione facciamo questo con molta più consapevolezza radicata del fatto che senza non riusciamo a starne, ci piace farlo e forse ci piace ancora di più di quando eravamo degli adolescenti, abbiamo ancora quel senso di ribellione che ci portavamo dentro da piccoli, il sentirsi diversi, fuori posto, ma ora sei ancora più conscio di aver trovato qualcosa senza cui non vuoi, non vogliamo stare. Ci godiamo ogni singolo momento che sia una data in qualsiasi posto, che sia la sala prove e le berrette, che sia lo studio mentre stai registrando quella che è la trasposizione in musica di quello che siamo, che magari, anzi sicuramente facciamo più fatica a fare uscire in altri modi.

Detto forse in breve abbiamo il bisogno di farlo e ci fa stare molto bene farlo e farlo insieme. Poi sinceramente la sensazione di suonare dal vivo è qualcosa che per me è davvero impagabile, quella mezz’ora o quaranta minuti che siano mi sento sempre nel posto giusto, in cui tutto va bene, il posto in cui sto sempre bene.

Voglio provare a fare questa cosa. Parliamo dell’album di debutto naturalmente, I Wish I Lived This Life (uscito per la neonata Tropical London Records), che è il principale motivo per cui siamo qui, ma in un altro modo. Prendiamo i brani che avete scelto come singoli e a ognuno ti chiederò di associare una di queste categorie e poi di parlarmene come meglio ritieni. Proviamoci!

Se Move On fosse un film, quale film sarebbe e perché?
Se 17 fosse un personaggio famoso, quale personaggio famoso sarebbe e perché?

Se Anxiety fosse una bevanda, quale bevanda sarebbe e perché?
Se So, So Long fosse un libro, quale libro sarebbe e perché?

Adoro già questa domanda.

Partiamo da Move On, il primo film che mi fa venire in mente così è “Il Lato Positivo” (Silver Linings Playbook), perché ti racconta di quelle situazioni tossiche che spesso non ti accorgi di quanto lo siano anzi cerchi di fare di tutto per tenertele strette perché per qualche strana ragione ci vedi del buono che assolutamente non esiste, anche se davanti agli occhi vedi la realtà è come se non la volessi vedere, poi capita che gli occhi li apri, che inizi a volerti più bene, che decidi di andare avanti e molto spesso quando arrivi a questo punto hai già attorno qualcosa di meglio, solo che non lo avevi ancora visto.

17 ha un storia particolare, parla di quando va tutto male e provi in ogni modo a migliorare la situazione, ma ci sono quelle volte in cui anche provando di tutto da solo non riesci e lì ti rendi conto però che da solo non sei, che intorno hai persone che ti vogliono bene, non possiamo farcela sempre da soli, ma tante volte abbiamo la fortuna di aver vicino persone che ci aiutano e ci trascinano fuori dai periodi brutti, che non ci fanno mollare e che non mollano insieme a noi, come il capitano di una squadra che trascina i suoi compagni fuori dai momenti difficili di una partita, con eleganza, carisma, col cuore, per questo mi viene in mente, ti chiedo di passarmelo come personaggio famoso, Bugs Bunny in Space Jam quando al termine del primo tempo della partita coi malvagi Monstars, con tutti i suoi compagni abbattuti per l’andamento della gara tira fuori la borraccia con la bevanda “speciale” di Michael Jordan e tutti si caricano e da lì in poi svoltano la partita con uno spirito ritrovato.

Per Anxiety ti racconto un aneddoto, quando avevo 20 anni adoravo davvero tanto lo Jager, una volta fuori coi miei amici in un bar a far serata avevano finito lo Jager allora chiediamo al barista qualcosa di simile e ci rifila l’Unicum, noi contentissimi iniziamo a berlo ma subito ci rendiamo conto che ci faceva veramente schifo, quindi ti direi l’Unicum perché come l’ansia è un abbraccio caldo e freddo allo stesso tempo che non vuoi ma che non ti molla, quell’amaro ci aveva gasato all’inizio con una serie di false promesse e aspettative ma poi ci aveva rovinato la serata!

Su So, So Long ho voluto chiedere a Filippo, visto che ha scritto lui questo pezzo. La sua risposta è stata che più che un libro questo pezzo potrebbe essere un fumetto e più precisamente un Dylan Dog, perché è sempre stato il suo fumetto “escape from reality”, un modo rapido per scappare dai problemi e come la canzone un godimento veloce.

Il titolo del disco non lascia spazio a dubbi, vorrei aver vissuto un’altra vita, o questa ma appieno e non come l’ho vissuta fino ad ora, lasciando intendere che dietro la scrittura ci siano sofferenze, rimpianti, scelte sbagliate, insicurezze, come voi stessi avete dichiarato. Quanto è stato difficile “dare in pasto” la propria vita personale a un pubblico con il rischio che potesse non capire cosa si nasconde dietro a ognuno dei testi, o lo stato d’animo con cui è stato scritto, e giudicare il solo lato musicale?

Ovviamente, almeno per me e per noi, quando scrivi un testo non stai lì a pensare a cosa penserà la gente, se lo capirà ecc., sembrerà forse un po’ egocentrico ma secondo me un po’ deve esserlo, sei lì a scrivere per te stesso, vuoi perché è l’unico modo che abbiamo a volte per esprimere o raccontare cosa abbiamo dentro vuoi perché quando scrivi non pensi al resto, scrivi e basta, quindi in realtà il problema di cosa ne trarranno altri non te lo poni neanche. Poi da fan di tante band, da ascoltatore prima che musicista (mi vergogno a definirmi così ahahah) capisco che il bello della musica è anche che ognuno di noi in una canzone ci può trovare quello che sente, quello che lo fa stare meglio, quello che lo fa sentire meno solo anche e credo che questa sia la cosa bella e fondamentale, noi scriviamo le nostre esperienze che per noi hanno un valore, un volto, un momento, ma poi ognuno ci può trovare anche altro.

Chiaramente non è facile dare in pasto a tutti la nostra vita, però come detto prima quando lo fai spesso non ci pensi neanche in quel momento e in ogni caso quando sai che il tuo messaggio è arrivato a qualcuno è una delle sensazioni più belle e ripaganti, perché alla fine la musica è condivisione anche in questo, crea legami con persone che conosci ma tanto spesso anche con persone che non conosci e a volte anche per merito di un testo, quindi no non è facile esporsi a nudo sempre, però il rischio può regalarti anche tanto.

Poi succedono cose belle tipo per farti un esempio persone che mi hanno scritto dopo aver sentito Anxiety perché secondo loro avevo dato voce a sensazioni che anche loro avevano provato o stavano provando, questo è proprio quello che ti dicevo che ti ripaga e ti scalda, quindi alla fine ne vale sempre la pena.

Aprirete la domenica del Punk Rock Raduno, che in Italia è diventato uno dei festival di riferimento per la musica punk in tutte le sue sfumature. Una bella vetrina per una band emergente e, diversamente da come si potrebbe pensare, non è stato il vostro boss di etichetta a volervi fortemente al festival ma anche gli altri organizzatori dopo aver sentito il disco e avervi visto live. Bella soddisfazione quando qualcuno che magari è orientato a un altro genere di punk decide di assoldarvi al proprio festival. Come l’avete presa?

Quando mi è arrivata la telefonata in cui mi dicevano che ci volevano al Raduno sono esploso e ho iniziato a saltare sul letto ahaha, ho mandato subito un messaggio agli altri ma dopo neanche un minuto li ho chiamati direttamente al telefono tanto che non riuscivo ad aspettare il loro messaggio di risposta, lo ammetto ero troppo gasato e lo sono, lo siamo tutt’ora.

Il Raduno è un’istituzione per tutti noi, essere stati chiamati a questo evento è qualcosa che ci fa molto felici tanto quanto ci inorgoglisce, sia per gli ideali che questo festival rappresenta e di cui si fa portavoce, sia perché come hai detto tu tendenzialmente la scelta artistica è orientata su altre correnti del punk rock, poi per carità non siamo i primi e non saremo sicuramente gli ultimi, però si questo ci rende davvero orgogliosi e felici.

Anche solo il fatto di suonare in un contesto così bello ed inclusivo, con tante tantissime band che spaccano, sei lì a suonare ma anche ad ascoltare bella musica, stare con amici. La nostra fortuna è proprio questa, che con la musica riusciamo a viverci questi momenti, queste soddisfazioni che ci godremo in tutto e per tutto e ci rimarranno per sempre. Siamo assolutamente e totalmente grati di questa opportunità e non vediamo l’ora di salire su quel palco quindi direi che il 14 luglio ci si vede all’Edonè a Bergamo!

So che pensavi di sfuggire alla domanda di rito finale ma invece eccola puntuale come un orologio svizzero, uno di quelli un po’ stronzi. Qual è l’album che avresti voluto scrivere e perché.

Domanda che sembra facilissima ma non lo è affatto, quindi voglio evitare di pensarci troppo e ti dirò il primo disco che mi viene in mente che è l’omonimo ed unico album dei Box Car Racer. Per me semplicemente forse è la mia idea di disco perfetto, sia sul lato di produzione da studio, i suoni che ha, ancora oggi per me bellissimi, sia perché credo sia stato il picco creativo di Tom DeLonge. Ha unito tutto quello che mi piaceva dei Blink ma con una narrazione più introspettiva e personale anche più fragile umanamente, senza protezione, più vulnerabile. Poi musicalmente per me è qualcosa da godimento puro, ci sono i riff super catchy che hanno fatto le fortune dei Blink, c’è l’influenza hardcore di Tom che è presentissima e che dà un peso diverso a vari pezzi del disco, poi come suona, sicuramente prodotto magistralmente in studio ma rimane crudo, diretto senza aggiungere niente che non serve, è così, è giusto così. Era un disco perfetto per il me 14enne e lo è ancora per il me che ha passato i 30.

Vale io ti ringrazio davvero per queste bellissime domande e per aver voluto fare questa intervista, ringrazio te e Punkadeka che ci concede sempre spazio, ci si vede presto!

 

 

(Credits foto banner intervista: Andrea Bardi)

 

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