HOPES DIE LAST: Six years home

Label: Wynona Records

Se fate parte della fascia di persone che si limita a dire “hanno il ciuffo, fanno cagare” oppure “suonano come gli Underoath” bene, passate oltre visto che questo disco e recensione non faranno al caso vostro in qualunque caso.
Gli Hopes Die Last chi li segue dagli esordi sa bene quanto si siano dovuti fare il mazzo per emergere e sa altrettanto bene quanto dal vivo questi ragazzi siano eccezionali. Proprio per questo motivo è con estremo orgoglio che posso ammettere che dopo esser rimasto impressionato dalle loro capacità in “Your face down now” mi trovo davanti a un disco di per sé esaltante. “Six years home” ci mostra una band finalmente conscia delle proprie capacità e brava nel metterle in evidenza.
Ogni brano ha tutte le caratteristiche che finora solo lo screamo americano ha saputo rendere concrete in un disco: bel confronto vocale melodico/urlato, brani immediati di facile presa e un buon lavoro strumentale a rendere ancor più appetibile il tutto. Il disco viaggia spedito sulla sua tangente, non mostra cali e non ha nulla da invidiare – come già detto – a produzioni decantate provenienti dagli States.
Per rendervene conto date un ascolto a brani come “Call me sick boy”, “Under this red sky” o “Consider me alive”, armoniose quanto basta a cullarvi nel mondo Hopes Die Last e violente al punto da farvi tornare subito al mondo reale.
La produzione affidata a Brian dei Vanilla Sky dona ancor più groove al tutto, evidenziando quanto sia importante al giorno d’oggi avere un buon produttore alle spalle.
Di sicuro gli Underoath rimangono la principale fonte d’ispirazione di questa band romana, ma chi al giorno d’oggi può essere definito stilisticamente originale? Semplice, nessuno. Non fateveli scappare!
Voto: 8/10

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