I Good Riddance a Milano, unica data italiana, è un qualcosa che non mi sarei mai perso per niente al mondo e, a quanto ho visto, non sono l’unico ad averla pensata così.
Arrivati nel capoluogo lombardo, dopo una fila quasi interminabile al casello di Melegnano, troviamo un sacco di amici provenienti dalle più svariate parti d’Italia: giusto il tempo di qualche chiacchiera che subito salgono sul palco Sean Sellers, Luke Pabich e Chuck Platt per un velocissimo line check. Poco dopo ecco anche il frontman Russ Rankin: il concerto può cominciare.
Era dal 2006 che i Good Riddance non venivano in Italia, l’attesa del pubblico presente nel piccolo club milanese si percepisce a vista d’occhio.
Nella scaletta, che la band ci aveva preannunciato ricca di pezzi storici (https://www.punkadeka.it/good-riddance-il-grande-ritorno/) ce n’è davvero per tutti i gusti. Non mancheranno canzoni come Mother Superior, Steps, la bellissima Salt, forse il pezzo più sentito dal pubblico insieme a Heresy, Hypocrisy and Revenge poi ancora Pisces/Almost Homes, le iniziali Last Believer e Weight of The World, All Fall Down, Libertine, United Cigar, Yesterday’s Headlines, Darkest Days, Slowly e tante altri pezzi che hanno fatto ribollire di gioia il Factory.
L’atmosfera è quella delle migliori occasioni: stage diving continui e il giusto plauso alla security del locale fanno dimenticare quasi completamente un audio non del tutto perfetto. Dopo i concerto ci intratteniamo con Luke e Sean (impressionante come al solito la sua prestazione), i quali si dimostrano disponibilissimi a due chiacchiere con i ragazzi presenti, tutto il contrario del solito perenne incazzato Russ.
L’orologio segna l’1 di notte quando partiamo per tornare verso Pisa prima e Livorno poi; 4 ore di autostrada che passeranno velocissime, tutto grazie ai Good Riddance.
Foto a cura di Fulvio “Devil” Pinto
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