Ai Gargantha non è mai piaciuto fare parlare molto di se. Nonsono tipi da prima pagina.
Gente di strada, gente che sa come alzare la voce. Gente cheha ancora qualcosa in cui credere e per cui combattere. Anche nel 2010.
“La danza finale” è un disco di quelli che vorrei trovarenella cassetta della posta ogni sera. Un disco punk-hc, vero, spigoloso esincero. Diretto nel suo risultato finale ma complesso nella sua architettura.
Gli arrangiamenti sono di valore assoluto (tra i migliorinel genere in Italia). Le chitarre sfociano nel progressive a tratti e riesconoa riproporre quelle atmosfere corrosive che sanno molto di Propagandhi (pensoad esempio certi giri di “Spirale” o all’intro di “Storie di democrazia” )
E proprio la band di Winnipeg credo sia il riferimento piùdiretto a cui affiancare i Gargantha, anche per quanto riguarda le liriche,socialmente impegnate. Vive, attente ed intelligenti, come non citare“Cancellati nell’ombra” con i suoi riferimenti alla “donazione” degli organi o“Solo morte” dove viene approfondito il concetto del sistema alimentarevegetariano come base energetica di una nuova società.
Come avrete osservato dai titoli citati, per la prima volta dopo oltre 10 annidi vita i 4 ragazzi di Treviso scelgono l’italiano per esternare le propriesensazioni.
Una scelta coraggiosa, che alterna momenti molto brillanti(come “Nessuno escluso” e “Solo morte”) a passaggi più indolenti, macchinosi(“Cancellati nell’ombra”). Da questo punto di vista si sente l’influenzadell’hardcore italiano anni 90 ed in particolare dei Kina, anche se certemelodie sono più allineate a quanto espresso dai veneziani Garretti soloqualche anno fa.
Potrei finire con qualche suggerimento personale mapreferisco copiare pedestremente il “manifesto” proposto dalla band:
”dedichiamo quest’album al punk e all’hcitaliano d’altri tempi, un riferimento fondamentale che non possiamo non citarevista la situazione attitudinale attuale. Lo dedichiamo a tutte le sincereemozioni di quegli anni che ormai si fatica a ritrovare, a quella voglia disperimentare per creare qualcosa di proprio ormai persa e sommersanell’apparire.
Lo dedichiamo a tuttiquei gruppi che hanno fatto la storia e a chi oggi ci crede ancora e continua afarla, senza clichè, senza plastiche scene colme d’individui che si muovono edatteggiano all’unisono, senza la priorità di vendersi, senza regole di mercato,senza tutta quella merda che vuol farci assomigliare a qualcosa di già visto esentito, che non c’appartiene ma che purtroppo, dicono, si vende.
Tutto questo tu lochiami controproducente, no lo chiamiamo sincero.”
Voto: 7/10