La Sardegna è sempre stata un’interessante fucina per l’hardcore e il punk. I For Different Ways non deludono le aspettative, hanno pubblicato da poco “Scars”, un esplosivo EP di cinque brani che da una parte confermano gli stilemi del genere, dall’altra provano ad aggiungere qualcosa in più. Abbiamo approfondito in esclusiva per Punkadeka, con questa intervista con la band sarda. L’intervista è a cura di Epidemic Records.
“Scars” è un lavoro catartico e riflette esperienze che lasciano un segno. Come avete affrontato il processo creativo per trasformare queste esperienze in musica e testi, e come avete cercato di comunicare al meglio le vostre riflessioni più profonde attraverso l’immediatezza comunicativa dell’hardcore punk?
Abbiamo fatto un lavoro di introspezione, affrontando argomenti scomodi apertamente e senza filtri, alla fine abbiamo pensato di portare in musica alcune esperienze vissute in prima persona.
C’è molta empatia nel disco ed emerge con forza la necessità di superare le avversità ad ogni costo, affrontando a viso aperto il dolore, la rabbia, la paura, ed in sintesi ecco che vengono fuori 5 tracce, 5 storie, 5 stati d’animo.
Così è nato l’EP, ci ha fatto bene, è stata una sorta di terapia di gruppo, speriamo faccia lo stesso effetto positivo a chi lo ascolta.
“Scars” è un EP autoprodotto. Quali sono le difficoltà derivanti dal dover affrontare tutto da soli nel panorama underground odierno e quali sono invece i possibili vantaggi nel poter gestire tutto in maniera diretta?
Siamo nell’epoca del digitale e per chi come noi è cresciuto con le demo in cassetta e i flyer fatti con i collage e poi fotocopiati, il DIY ha fatto passi da gigante, è innegabile.
In ogni caso nulla è gratis e nulla è scontato, per stare “vivi” e credibili nell’underground devi abbracciarne la filosofia, coltivare le relazioni, fare rete, partecipare. Fare dischi e portarli in giro comporta molta pianificazione e sacrificio. Il budget che si ha poi a disposizione fa la differenza nelle scelte che farai successivamente. Banalmente noi non abbiamo stampato copie fisiche per gli ultimi 2 EP e siamo presenti solo sulle piattaforme digitali. Questo ovviamente ci dispiace molto, tutti siamo affezionati al CD, al vinile o alla musicassetta vecchia scuola.
I vantaggi sono molteplici, l’indipendenza nelle scelte su tutta la linea, nessuna pressione sulle tempistiche di uscita del disco o sulla copertina. La libertà di poter presenziare ad un benefit o suonare gratis per chi vuoi, senza doverti preoccupare delle penali.
Inoltre come dicevamo all’inizio, l’avvento di Internet ha cambiato anche il modo di fare e distribuire la tua musica. Oggi un artista o un componente di una band, può lavorare su un progetto condiviso in autonomia e a distanza, con l’ausilio della tecnologia, i tempi si sono accorciati, i costi anche e si possono fare tanti esperimenti, arrivando ad una platea enorme attraverso la distribuzione in digitale.
“Scars” sembra essere la continuazione di “Awareness,” ma con una propria identità distintiva. Come avete gestito l’evoluzione del vostro sound, passando da un lavoro all’altro, mantenendo al contempo una coerenza tematica? Quali elementi avete voluto portare avanti da “Awareness,” e cosa avete intenzionalmente modificato in “Scars”?
La ricetta di base è rimasta la stessa, anche in “Awareness” volevamo un sound crossover che legasse bene ai testi e fosse diretto per l’ascoltatore perché volevamo arrivare ad un pubblico eterogeneo.
“Scars” prosegue coerentemente su questa linea, ma con il lavoro della nuova line up.
Quindi emerge la nuova linfa e indubbiamente questo ha dato un risultato diverso e più profondo.
In fase di costruzione dei pezzi, non ci siamo fossilizzati su l’idea di stare dentro ad un genere in particolare o di replicare il disco precedente, non avrebbe avuto alcun senso.
E’ cambiato il metodo compositivo, c’è molta emozione, ci sono nuove sonorità pesanti, molto lavoro sugli arrangiamenti delle chitarre e le dinamiche della sezione ritmica tra basso e batteria.
Anche la voce sperimenta anche con l’alternarsi tra le strofe di Giacomo (voce principale) e Roberto (basso e voce) in molte tracce.
Essendo una band hardcore che nasce e vive in Sardegna, un isola lontana dal chiasso delle metropoli più popolose d’Europa, come pensate che il vostro contesto geografico abbia influenzato il vostro approccio alla musica punk e hardcore?
Questa è una domanda molto interessante. Le isole, Darwin ci insegna, sono il laboratorio a cielo aperto dell’evoluzione. Non solo in biologia e genetica, questo infatti vale anche per i modelli antropologici, sociali e comportamentali.
Essere Isolani ci fa osservare tutto ciò che arriva da fuori con un certo distacco prima di apprezzarlo pienamente o rifiutarlo del tutto. Sicuramente questo si riflette nell’approccio, facciamo a modo nostro e tiriamo dritti per la nostra strada .
Ecco, c’è un fortissimo senso di appartenenza e di rivalsa sociale, senza dover necessariamente seguire uno schema dettato dal mercato, o scimmiottare un modello e diventare un cliché
Di questa cosa ne parliamo in “Give Respect” la traccia che apre l’EP.
Ci sono elementi della vostra identità sarda che emergono nel vostro sound o nelle tematiche affrontate nei vostri testi?
Cantiamo in Inglese per scelta e non abbiamo per ora attinto ad elementi della nostra tradizione musicale, ma non è da escludere, anzi è piuttosto stimolante l’idea di scrivere un testo in “Limba Sarda” o aggiungere strumenti tradizionali, vedremo.
Sì, nei testi dei 3 EP pubblicati ci sono diversi riferimenti alla Sardegna. Parliamo spesso di crisi economica e sociale derivante dal lavoro che non c’è, della marcata disparità di genere, di ricatto occupazionale e del disastro ambientale e sociale perpetrato dall’industria mineraria e chimica, di cui dobbiamo liberarci al più presto se vogliamo un futuro diverso per le prossime generazioni.
In “White Trash” il messaggio è diretto alla politica delle poltrone. Viviamo in un costante clima da campagna elettorale, giusto ora ci ci sono le elezioni regionali.
Avete affrontato sperimentazioni con suoni più pesanti e licenze Hip Hop in “Scars.” Come queste influenze aggiuntive si integrano nella vostra visione dell’hardcore e quali nuove dimensioni pensate abbiano aggiunto al vostro sound complessivo?
Eravamo in piena e lo siamo ancora, scrivere musica ti fa sentire parte di qualcosa di più grande, mischiare diversi elementi è fisiologico quando hai tante influenze anche se trovare il giusto equilibrio non è facile.
E’ venuto fuori un sound personale e inclusivo, può interessare anche ascoltatori di altri generi, nel complesso siamo molto contenti di aver integrato bene diversi elementi senza forzature ed anche le recensioni sembrano darci merito.
“Scars” è un lavoro che porta riflessioni, punti di vista, critiche e speranze. In che modo pensate che l’hardcore, come genere musicale, sia un veicolo efficace per comunicare messaggi più profondi e emozionali rispetto ad altri generi musicali, in un epoca in cui si può dire che non sia proprio il genere più popolare, soprattutto tra i più giovanissimi?
Noi siamo per l’inclusione e, a differenza di altre scene, l’hardcore ha sempre cercato di fare rete, di creare occasioni di confronto. Voi lo sapete meglio di noi, nei festival HC trovi massima apertura ad altri generi o a discipline sportive, pensiamo alle aree skate e bmx, street art, tattoo, aree distro aperte a tutti i generi. Ha un seguito di pubblico molto attento di tutte le età che è distante dalle logiche del mainstream.
L’hardcore non è popolare è va benissimo cosi!
Abbiamo notato una piacevole controtendenza ai nostri concerti, ci sempre sono molti “pischelli” in prima fila. C’è tanta curiosità, ci fanno domande interessate ed è un bel segnale, perché di solito chi si affaccia all’underground ha già fatto una scelta di campo che si porterà dietro negli anni, bisogna seminare e coltivare per il futuro.
Cosa vorreste che dicessero tra 10 anni dei For Different Ways e di “Scars”?
Non ci prendiamo mai troppo sul serio (risate). Se tra 10 anni qualcuno ancora si ricorderà di noi e ne parlerà bene, non ci sarà nulla da aggiungere, saremo felici di aver contribuito a modo nostro a farli stare bene.
Come vivrete questo primo anno dopo l’uscita di questo nuovo EP?
Come prima cosa ringraziando ogni giorno tutti quelli che ci stanno dando una mano. Per il resto saremo sempre in movimento per promuovere il disco in Sardegna e vediamo cosa arriva da fuori.
Contestualmente a “Tana delle Tigri” si lavora su materiale nuovo. Se tutto fila liscio usciremo con alcune novità prima dell’estate.
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Pic Credits: Lello Cocco