Si chiamano Evolution So Far, vengono dalla Liguria che da un po’ di tempo a questa parte si sta affermando come terra fertile di talenti Punk.
Il loro verbo è l’Hc estremo intriso di rabbia e passione. “The armies of bitterness” è il loro primo full-length dopo lo split con i “For Am I Blind” e con l’occasione conosciamoli meglio e vediamo cosa hanno da dirci…
Con il primo split con i For Am I Blind avete avuto l’opportunità di farvi conoscere e iniziare una buona attività live. Potreste presentare con parole vostre cosa è e cosa rappresenta “The armies of bitterness”?
Francesco: E’ il nostro primo disco vero e proprio. In parte è un traguardo, perché abbiamo avuto la possibilità di fare uscire un lavoro completamente nostro, a cui abbiamo dedicato tempo e passione. In parte è un inizio, o quantomeno speriamo che lo sia.
Alessandro: Sicuramente la realizzazione di un piccolo sogno, ma anche il risultato di anni di passione e sbattimenti, con i quali abbiamo costruito una piccola nicchia dove possiamo fare e, sopratutto, dire ciò che vogliamo.
“The armies of bitterness” oltre ad essere un album più maturo ha un sound che oserei dire quasi ossessivo, come un malessere interiore che esplode fuori…è solo una mia impressione?!
Francesco: Si, è un disco cupo. Riflette in maniera onesta la nostra visione del mondo, la nostra frustrazione, la nostra rabbia, e soprattutto la nostra paura. Di fronte all’allucinazione autocelebrativa e cannibale dell’era dell’ottimismo, l’unica reazione ragionevole è l’angoscia.
Alessandro: Questa cosa si ricollega in parte con quello che dicevo prima; abbiamo tranquillamente potuto tirare fuori tutta la merda che avevamo in corpo, dandogli non solo una “forma sonora”, ma una vera e propria voce attraverso i testi, dove il nostro pensiero politico non può che esprimersi in termini nichilisti ed esistenzialisti, che sono sicuramente quelli che ci vengono più spontanei.
Matteo: Quando fai 40 ore di fabbrica alla settimana creando plusvalore, quando prendi i pomeriggi li appallottoli e li butti nel cesso, quando suona la sveglia, quando credi che l’emancipazione della classe operaia deve essere solo ed esclusivamente ad opera della classe operaia, quando vorresti l’estirpazione completa del’ egoismo umano, quando torni a casa con il motorino…ipercoop…trony… cepu….finanziamento…bmw……… quando onde e radiazioni ti avvolgono , odio la notte, quando purtroppo il presente è gia catastrofe………………..tutto questo e molto altro senza sapere come si fa’ ah ah.
Una cosa che appena mi è venuta in mente vedendo il vostro album è stata la contraddizione in termini che secondo me vi è tra il vostro nome “Evolution so Far” e la copertina dell’album che ha un’immagine da “Quarto Stato” per intenderci. Ci potresti spiegare in sequenza cosa volete dire con il vostro nome e cosa significhi la vostra copertina e la relazione tra i due?
Francesco: Con il nome intendiamo qualcosa tipo: “milioni di anni di evoluzione e siamo messi a ‘sta maniera… non ne valeva assolutamente la pena”. La copertina non è legata al nostro nome, ma tenta di illustrare il titolo dell’album. The Armies Of Bitterness è una frase presa da Furore di Steinbeck, che a un certo punto, descrivendo la situazione dei contadini americani che avevano perso la terra durante la grande depressione e si dirigevano in massa verso l’ovest, dice: “(…) ciascuno di noi è un tamburmaggiore alla testa di un corteo di ingiustizie, in marcia con la sua amarezza. E un giorno le armate dell’amarezza andranno tutte nella stessa direzione e cammineranno insieme, e da questo nascerà il terrore.”
Alessandro: Francamente non li trovo molto in contraddizione, perché il nostro nome, che sicuramente non è ottimista, non può non collegarsi al titolo del disco che non fa altro che spiegare la condizione della massa, che come una moltitudine di malesseri unificati dal malcontento, non solo sociale, ma anche del singolo individuo, marcia senza una meta, come un’armata piena d’amarezza
Hegel diceva che la storia va avanti per rivoluzioni e quella da cui il vostro sound nasce è sicuramente quella di inizio anni ’80, periodo di frustrazioni sociali e fratture economiche. Ora però a venti anni di distanza cosa significa ancora fare Hc e vivere l’Hc in prima persona?!
Francesco: E’ strano, ma in questo periodo ci stiamo di nuovo sorbendo alcune delle puttanate principali dei primi ’80: la politica estera estremamente aggressiva degli stati uniti, l’ossessione liberista, la retorica dello scontro tra le forze del bene e quelle del male, l’atmosfera da apocalisse imminente. Sicuramente però tutte queste cose sono calate in un contesto diverso, ora. Ma non credo che sia un contesto migliore. L’hardcore, o almeno l’hardcore che mi interessa, nasce da un malessere personale calato in un delirio sociale e culturale (che poi prenda la via di un messaggio costruttivo, quella di un rifiuto nichilista o una gradazione nel mezzo, è un altro discorso), e mi sembra che i motivi per essere presi male e il delirio attorno non manchino, di questi tempi.
Alessandro: In teoria fare HC e viverlo adesso a distanza di venti anni e spiccioli dalla sua creazione, non dovrebbe avere un significato diverso da quello originale, anche perché le assurdità, per usare un eufemismo, con le quali conviviamo quotidianamente sono in buona sostanza le stesse, se non addirittura amplificate nelle contraddizioni e nei paradossi. Che poi qualcuno, in determinati momenti, abbia provato a renderlo solo un genere musicale facilmente sdoganabile, è un altro discorso, fortunatamente gente davvero incazzata ne esiste ancora, e i risultati commerciali dell’HC ( tupa-tupa e affini non i blink) sono stati per fortuna quantomeno discutibili.
Non pensi però che sia diventata, come purtroppo mi tocca constatare sempre più spesso con il Punk Rock, solo musica e non life-style?! Vedo sempre più ragazzini con catene appena uscite da un ferramente ben lucidate ai concerti che si divertono a pogare ma non vivono questa musica, è preoccupante la cosa non credi?!
Francesco: Non è preoccupante, è fisiologico. L’estetica e la musica punk sono state facilmente risucchiate nel regno della merce e messe in vendita sul mercato dell’intrattenimento. La nostra industria culturale è in grado di fagocitare praticamente tutto, non vedo perché il punk avrebbe dovuto fare eccezione. Il discorso è diverso sul piano dell’etica: quello che è davvero interessante è la costruzione di un circuito indipendente e alternativo al mainstream, relativamente poco inquinato dalla mentalità “da business”, portato avanti per passione, in cui la sostanza venga prima dell’immagine, i rapporti personali prima della “professionalità”, i principi etici prima del profitto. Ora, non ti dico che sia facile portare avanti una cosa di questo tipo, e neanche che in generale lo si stia facendo con successo, però è sicuramente possibile. Per farti un esempio celebre, Dischord è la prova che si può creare un discorso del genere e mantenerlo nel tempo.
Alessandro: Purtroppo è una cosa assolutamente normale, i talenti e le novità in ambito “alternative”, finiti i RATM e il fenomeno grunge, latitano, di fatti non facciamo che sorbirci oramai il revival del revival, e in questo calderone indecente c’è finito anche l’HC, inglobato però da questo fenomeno, credo, solo di striscio; perché fortunatamente ha alle spalle una storia troppo forte di autonomia e autogestione, un’estetica aggressiva e troppo sciatta, ovviamente intendo quello vero (vedi foto Minor Threat, Circle Jerks e affini), per potere diventare griffe, e un bagaglio ideologico radicalmente contro lo status quo. Comunque credo che sarà il tempo che naturalmente farà un’epurazione, chi ha deciso di seguire o fare HC con poca convinzione sparirà, perché è chiaro che l’HC non paga certo in termini di fama e ricchezza; così credo che la scena, pur
male organizzata e divisa, che durerà sarà, gioco forza, composta da gente umile, che ha resistito a concerti organizzati male magari di fronte a quattro gatti, a produzioni certo non distribuite capillarmente e ad un pubblico fiacco e modaiolo.
Rimaniamo ancora un attimo sul discorso della vitalità dell’Hc. Un mio amico mi ha fatto avvicinare alla scena Hc del sudamerica che noi conosciamo tramite i Ratos De Porao ma che è molto più fertile e florida di quello che ci immaginiamo. In Bolivia vi è ancora quella rabbia viva verso questa società, quella voglia di rinnovamento che si sente nella loro musica…noi che andiamo in giro con i nostri video-fonini, con macchine dotate di miliardi di optional inutili che viviamo vite parallele sul web etc etc… come possiamo ancora vivere l’Hc?! A volte non ti domandi se gli ideali, che poi si trasformano in musica, non siano solo tali e poi in pratica rimangano solo vuote speculazioni “filosofiche”?
Francesco: I videofonini e le macchine con miliardi di optional sono cose che vedo più come un problema, che come una forma di benessere. E’ che non riesco più a vedere la differenza tra un carrello della spesa pieno e la morte. Sicuramente ci sono parti del mondo in cui la sopravvivenza quotidiana è più brutale e difficile che nell’opulento occidente. Ma questo non vuol dire che da noi le cose siano belle o giuste o roba del genere. In primo luogo, perché c’è uno stretto legame (storico ed economico) tra il fatto che noi viviamo circondati dai beni ed il fatto che la maggior parte del mondo stia nella merda. E poi, il fatto che io bevo coca cola e tu bevi coca cola e Bush beve coca cola, non significa che siamo davvero sullo stesso piano. Le strutture di potere sono in piedi per difendere gli interessi di chi il potere lo esercita, non i miei ed i tuoi. A noi, quello che resta è una cultura tossica, psicologicamente violenta, fortemente etnocentrica, molto gerarchica, piuttosto androcentrica e repressiva nei conofronti delle identità sessuali e di genere, puntellata dalle formule sacre dei mass media, che però ci offre la consolazione di un dolce abbandono ad un consumismo isterico e paranoico. Al di là dell’hardcore, direi che la situazione non è esattamente eccellente.uello que
Alessandro: Sicuramente in sud America vivono una realtà veramente dura che non può che fare incazzare e gridare contro ogni cosa, ma se non sei ricco e non vivi in una zona residenziale di villette, fai una vitaccia anche qui in Italia. Vorrei farti vedere piazza Brin, Ceparana o la Pieve, zone di La Spezia che non stonerebbero certo a Caracas, e come qua da noi credo che in giro per l’Italia sia pieno di posti del genere, Torino, Milano, Roma, Napoli etc etc…, la merda che si vedeva nei film neorealisti o nei poliziotteschi degli anni ’70 non è sicuramente morta.
Voi venite dalla Liguria, terra che ultimamente sta sfornando ottime band come Peawees o Manges. Non vi sentite la nota stonata in un ambiente dominato dal Pop – Punk / Rock?! Che rapporti avete con le altre band?!
Francesco: No, non ci sentiamo la nota stonata, anche perché non ci facciamo grossi problemi con le differenze di genere e sotto-genere. Ognuno suoni ed ascolti quello che gli va. Abbiamo buoni rapporti con i gruppi della nostra città, tra cui ovviamente Manges e Peawees. Per allargare il discorso alla liguria, aprrezzo molto Kafka, Downright, The Enemy e Crime Gang Bang.
Alessandro: No, nessuna nota stonata, anzi quando ero un po’ più giovane
guardavo Manges e Peawees per capire come si facesse a portare un gruppo avanti
in modo serio.
In Italia spesso ce ne dimentichiamo ma abbiamo una band che ha fatto la storia dell’Hc mondiale insegnandolo anche alle band provenienti dalla patria dello Zio Sam, i Raw Power! Quale è il rapporto con la loro musica e secondo te quale è il reale motivo per cui in Italia nessuno li conosce ma all’estero tutti ce li invidiano?
Alessandro: La loro musica è stata importante ma non sono certo stati gli unici, i Raw Power fanno parte di un periodo, come Negazione o CCM, dove la scena italiana era forte e aveva tanto da dire, all’estero questi gruppi erano molto seguiti perché avevano sviluppato un percorso musicale assolutamente personale, avendo il coraggio di tentare a essere originali, erano molto meno derivativi di quanto non lo siamo noi adesso.
Nei vostri tour siete andati anche all’estero, quale è stata la reazione degli Hc kids stranieri alla vostra musica?…come vi siete trovati?!
Francesco: All’estero ci siamo sempre trovati bene. Potersene stare in giro sul furgone e suonare tutte le sere è già fantastico di per sé, e poi l’organizzazione dei concerti di solito è migliore, e nella maggior parte dei casi il pubblico è più numeroso e più coinvolto. E’ cosa risaputa che l’Italia è un paese con dei problemi dal punto di vista dei live, se ci fai caso quasi tutti i gruppi italiani smadonnano perché è difficile suonare, e quando lo fai, spesso lo fai in contesti assurdi, e i gruppi stranieri stanno evitando sempre di più il nostro paese.
Per concludere ti lascio spazio per dire quello che vuoi ai lettori di Punkadeka.
Francesco: Grazie mille per l’intervista e per l’interesse. Non preoccupatevi e amate le bombe.
Alessandro: Ciao e grazie per l’intervista.