Una conferma e una crescita questo nuovo disco del combo veneziano che entra in studio con le idee chiare e con la voglia di trovare un sound ancor più personale. E quindi via libera a chitarre distorte quanto basta, voci ed armonizzazioni curate a puntino e melodie a non finire.
I Duracel non cambiano, evolvono, crescono e dimostrano che si può fare anche mantenendo la filosofia dei “tre accordi” e poco più.
“L’Ora d’aria” parla di ragazzi sinceri e veri che si avvicinano ai 30, che hanno vissuto a pieno i loro anni di gioventù e che, senza rimpianti, ma con un po’ di nostalgia, ci raccontano appoggiati al bancone del bar, la loro storia; una storia fatta di sbronze e riflessioni, amori e dissapori, kilometri su un furgone come quattro fratelli che ovunque vanno portano scompiglio!
I Duracel sono in ottima salute, e ce lo gridano a gran voce:
“L’ora d’aria, naturalmente, è ancora una volta lei: la musica. La musica come salvezza dalla sveglia/sirena che feroce ti tira giù dal letto alle sette in punto. Dalla divisa carceraria da indossare; non arancione, ma grigio scuro, se va bene.
Se va male, coronata dai segni inequivocabili dell’autorità e del potere: cravatte, doppiopetti, gilet.
Salvezza da quelle otto ore di lavori forzati, salvezza dai bruschi ordini dei secondini, detti anche: capireparto, direttori, responsabili di area. La nostra musica, quindi: la concessione di quella piccola, preziosa, impagabile ora tra magliette dei Ramones e amplificatori al massimo; un’ora qua e là, che serve a ricordarti chi sei davvero. U
n’ora in cui uscire dalla squallida divisa del grigiore quotidiano, fatto di lavoro, di fatiche, di ipocriti sorrisi, e di “sì-sempre sì-ancora sì”. L’immaginario da cui ha preso forma questo disco non è certo una tematica nuova per noi: il tempo che passa e che non ritorna. Ma per la prima volta siamo riusciti a mettere sullo stesso disco tutti i momenti di un doloroso trapasso, quello tra l’età del gioco e quella del dovere. Un trapasso che promette serate sonnacchiose sul divano a farsi lobotomizzare da qualche serie tv, in attesa di un sonno che conduce come una macchina del tempo al giorno successivo. Un trapasso che consegna compagnie che si sfaldano, amici che se ne vanno e che non torneranno più.
ricordi, quelli sì invece, rimangono e prendono corpo, uno per volta, in ognuna delle tredici canzoni. Ricordi, belli o brutti che siano, che trattiamo con affetto e rimpianto, consapevoli dell’inutilità di contare i giorni di questo nuovo ergastolo. Fine pena: mai.” [by Duracel]