Thanks God è uscito. Dopo due anni di battaglie legali con la Victory Records, gli ADTR sono riusciti a far uscire il loro quinto album in studio, Common Courtesy, placando la sete dei loro fans. Ma come si dice, l’attesa aumenta il piacere… Comunque, per chi non li conoscesse – scommetto in pochi – gli ADTR sono una band di Ocala, Florida, fondata nel 2003 e composta da Jeremy McKinnon (voce), Kevin Skaff (chitarra), Neil Westfall (seconda chitarra e voce), Joshua Woodard (basso) e Alex Shelnutt (batteria). Fanno un genere particolare, o lo ami o lo odi… alla fine è il prezzo da pagare quando si segue la propria strada e non quella dettata dalle mode o dalle case discografiche. Per avere un’idea più chiara di quello che suonano, prendete un 50% di pop punk e un altro 50% di hardcore, mescolate e otterrete un mix che sicuramente merita di essere ascoltato. Common Courtesy, che rappresenta pienamente questo genere ibrido, può essere definito come l’album ideale per gli indecisi: 13 tracce + 3 bonus tracks in cui si alternano ballate a volte un po’ troppo soft (bisogna ammetterlo) e accenni metal, con gli immancabili scream che spuntano come funghi per tutta la durata dell’album.
Tra le sue tematiche ricorrenti troviamo un nostalgico ritorno alle origini, non solo in senso geografico ma soprattutto emotivo: un modo efficace per ribadire che il successo non li ha cambiati per niente. Ma ora partiamo con le tracce. City of Ocala è un inno alla loro città natale, un posto quasi magico dove poter tornare per ritrovare il proprio io, dove le persone ti conoscono per ciò che sei veramente e non solo per la tua fama. Right back at it again parla dell’inseguimento dei propri sogni e della volontà di realizzarli, nonostante chi cerca di spegnere il tuo entusiasmo. Sometimes you’re the hammer, sometimes you’re the nail è molto intensa, perché riesce ad esprimere un senso di forza e debolezza allo stesso tempo, una condizione particolare che ti permette di risorgere dalle tue ceneri e di trasformare le situazioni negative in uno stimolo per andare avanti e affrontare chi ti ha fatto del male. Dead and buried parla del tempo che si spreca cercando di dimenticare il passato, mentre Best of me racconta di una relazione destinata a non funzionare ma nella quale continui a credere, per poi accorgerti che ha portato via la parte migliore di te. In I’m already gone emerge la capacità di lasciarsi una storia alle spalle, con la consapevolezza che fuori c’è già qualcuno a cui sei destinato a unirti… e poi finalmente arriva la cattiveria di Violence (enough is enough), con la sua voglia di vendetta e di riscatto. L’ottava è Life @ 11 e parla di una presenza negativa che non ti abbandona, che continua a farti sentire le sue parole nella testa e la sua presenza alle spalle. In I surrender torna il tema della storia che finisce, nonostante gli sforzi fatti per salvarla, e la costante speranza di riuscire a recuperarla. Life lessons learned the hard way è una fortissima canzone di odio nei confronti di una persona che non merita rispetto, mentre End of me parla di un amore finito che continua a tormentare i tuoi pensieri e che ti distrugge. The document speaks for itself è un chiaro riferimento alla loro vicenda discografica con la Victory Records, ed è seguita da I remember, un salto in un passato in cui nessuno li capiva, un periodo difficile in cui hanno dovuto fare scelte rischiose per inseguire le loro passioni… ma che a quanto pare ha portato a degli ottimi risultati.
Ok, le 13 tracce ci sono tutte; per le 3 bonus tracks vi lascio un po’ di suspense. Andateveli a sentire, e se al primo ascolto non siete pienamente convinti vi sfido a vedere il loro live – 28/01/14, Alcatraz di Milano. Non vi deluderanno.