Breve storia di una lunga chiacchierata tra due punks e di un libro che non esiste.
di Andrea Manges
Ho avuto l’idea di intervistare Ben Weasel qualche anno fa, durante una delle mie tante conversazioni in Skaletta con Manuel dei Manges. In effetti, pensavamo, oggi i social ci tengono sempre in contatto con i nostri preferiti, ma gli approfondimenti sono più scarsi.
Ben Weasel è decisamente uno che ha molto da raccontare. Il punk rock USA anni 80 e ’90, le dis-avventure della sua band, la sua public persona polemica, sopra le righe e talvolta controversa, la Lookout!, la Fat Wreck, e ovviamente gli eventi più recenti (l’incidente al SXWX su tutti).
Al di là dei suoi ultimi, ottimi dischi, Ben ha parlato tantissimo (sui social o in qualche podcast) ma paradossalmente si è aperto molto meno.
Gli Screeching Weasel hanno senza discussioni raggiunto uno status di cult band. Hanno fatto un pezzo di strada al fianco dei Green Day, e sono stati citati tra le principali influenze dei Blink-182, ma a differenza di questi giganti del rock, sono rimasti nel sottosuolo. Ben, leader indiscusso del gruppo, non ama più esporsi, non è una rockstar, non ha molte avventure sesso-droga-rock da raccontare (nè più e ne meno di tutti quanti noi). Non si atteggia nemmeno a “personaggio”. Avevo voglia di chiedergli, ad esempio “credi che a volte la gente rimanga delusa dal fatto che tu semplicemente viva una vita normale? Chi è, come si vede Ben Weasel oggi?”.
Gli ho proposto il progetto, e con mia sopresa, ha accettato immediatamente. “Non intendo parlare della mia famiglia”, mi ha detto, “ma di tutto il resto sì”.
Ero carico. Eravamo carichi. L’accordo prevedeva una lunga serie di call su Skype, della durata di un paio d’ore ciascuna. Io mi sarei occupato di far trascrivere il tutto, revisionarlo, e confezionare un libro-intervista che avremmo pubblicato in ebook, e sicuramente anche stampato con Striped o chissà.
Scaletta del libro, divisione in capitoli, argomenti, linee temporali… avevo tutto pronto. O quasi.
Chi di voi fa lavori “creativi” sa che non sempre si arriva dal punto A al punto B come immaginato. Abbiamo fatto molte chiamate e conversazioni, ed è stato bello. Poi, un pò che gli effetti del covid sulle nostre vite svanivano, un po’ ci siamo persi in altri progetti, un po’ sono sorte alcune difficoltà, e insomma, mi sono bloccato. A volte certi progetti semplicemente non vanno in porto e non puoi farci niente.
Che io sappia, vale lo stesso anche per il film-documentario sugli Screeching Weasel che fu annunciato, inizialmente promosso, e poi è sparito dai radar. Peccato.
Ovviamente ho ancora tutto il materiale registrato. Abbiamo parlato della sua adolescenza e della “detenzione” in un centro di riabilitazione giovanile. Abbiamo parlato a lungo dei suoi rapporti con gli ex-membri della band e delle dinamiche interne al gruppo. Abbiamo affrontato la parte che forse è stata più impegnativa per me, ovvero le due ore di ragionamenti che hanno fatto seguito alla domanda “perchè sei Cattolico, e come metti insieme il punk ed la religione?”. Per un po’ ho pensato che quello fosse il punto di vista perfetto col quale incorniciare l’intero libro.
Abbiamo sviscerato minuto per minuto cosa accadde in Texas, come suo malgrado Ben sia finito al centro di grosse polemiche, di come si è risollevato ed ha trovato un nuovo equilibrio.
Questo lo ha portato anche a parlare a lungo di cancel culture e della attuale società Americana.
Poteva essere una gran bella lettura per tanti di noi, ma non sono stato in grado di scriverla. E alla fine lo stesso Ben ha fermato i lavori. “E’ stato bello e a tratti anche terapeutico raccontarti tutto”, mi ha detto, “ma non credo di voler condividere là fuori ciò di cui abbiamo parlato. Preferisco lasciare nel passato l’amarezza, la rabbia e le mie recriminazioni, così come i miei sbagli, ora che riesco a guardami indietro con serenità. Non voglio aggiungere altra negatività o nuove controversie alla storia della mia band”.
Respect.
Quest’anno, lavorando alla ristampa di “Boogadaboogadaboogada!” su Striped Records, gli ho proposto di utilizzare una parte del materiale (più che altro i racconti degli anni 80) per il booklet del disco, e così abbiamo fatto. Perchè in quell’album si sente la freschezza di giovani punkrockers che, per puro istinto, hanno fatto musica che tanti di noi amano ancora oggi. E all’ennesima ristampa, aveva anche senso raccontare una piccola parte della loro storia.
Vi lascio con la traduzione dell’inizio dell’intervista, rimandandovi all’inserto del doppio LP “Boogadaboogadaboogada! – Legacy Edition” per leggerla tutta.
Andrea Manges: Ricordi un momento specifico in cui Benjamin Foster è diventato Ben Weasel?
Ben Weasel: Beh, probabilmente un paio di anni prima di formare la band. Allora non mi chiamavano Ben Weasel, anche se alcuni mi chiamavano weasel. Ero stato collocato dallo stato dell’Illinois e dal mio distretto scolastico, con il permesso dei miei genitori, in una sorta di incrocio tra una scuola riformatorio e una casa famiglia. Nessuno sapeva davvero come chiamarlo, noi lo chiamavamo rehab, riabilitazione. Ero un adolescente problematico, suppongo. Molte delle persone presenti avevano problemi di droga o di alcol.
Vivevi lì 24 ore su 24, non c’erano serrature alle porte, non venivano usati psicofarmaci o altro. Le tre regole principali erano: niente sesso, niente violenza, niente droghe o alcol. Tutti avevano un lavoro, tu iniziavi dal livello più basso della gerarchia, salivi fino a diplomarti e andare avanti con la tua vita. Questo è successo a Poland Spring, nel Maine. Avevo 15 anni, a pochi mesi dal mio sedicesimo compleanno…
La principale forma di rimprovero, di correzione, era urlare. Il confronto aggressivo era uno stile di vita là, faceva quasi parte della terapia. Ho scoperto che quella era davvero la prima cosa nella mia vita in cui ero bravo, ero bravo a urlare e insultare le persone. Ho imparato a trasformarla in una forma d’arte.