Certa stampa ci ha provato a smontare la mia attesa per questo disco dei Bad Religion, ma com’era prevedibile ogni dubbio è stato spazzato via con iltasto “start” del lettore. Un disco, “The Process of Belief”, atteso per moltissimi motivi, primo fra tutti il fatto che il gruppo di Greg Graffin vede rientrare nei ranghi quel Brett Gurewitz fuoriuscito ai tempi di “Stranger than Fiction” per dedicarsi alla Epitaph, Epitaph che marchia anche il disco; infatti i nostri dopo la parentesi interlocutoria con la Sony han fatto ritorno a casa; con premesse come queste che disco vi aspettereste?
Un capolavoro, ed infatti ci siamo molto vicini. Dopo dodici dischi e vent’anni di onorata carriera, l’aver inventato un genere (l’hardcore melodico) e averlo reso popolare, i Bad Religion hanno ancora l’energia sufficiente per andare veloce, e “Can’t stop It” o “Supersonic” possono esserne prove valide, così come sanno ancora creare quelle melodie che li hanno resi unici, ascoltatevi “Sorrow” e provate a darmi torto. Sembrano più giovani di dieci anni, e si ritorna con l’orologio della memoria ai tempi gloriosi di “No Control”, “Generator e dello stesso “Stranger than Fiction” di cui “The Process of Belief” sembra il logico successore.
Che altro vorreste? Che si reinventassero? Io francamente preferisco tenermeli così come sono, e le presunte evoluzioni le lascio a chi non sa scrivere canzoni come “Destined for Nothing”. Mi si dirà che non son cambiati di (quasi) nulla, ma forse il 90% dei gruppi punk odierni non ha preso qualcosa da loro? Scusate, ma per ascoltarmi uno che tenta, senza arrivarci, di fare l’hc melodico come solo questi californiani sanno fare io preferisco rivolgermi agli originali.
Ad ognuno la sua scelta.
Eccezionale.