ALKALINE TRIO: This Addiction

Il 22 Febbraio è uscito per la Hassle Records, in collaborazione con Heart & SKULL  (l’etichetta  personale degli Alkaline Trio), This addiction, ultima fatica del trio americano.  La tracklist è composta da undici canzoni per quasi 35 minuti di musica.  Matt Skiba, cantante e chitarrista della band, ha affermato che questa volta il gruppo ha preferito un “a less-is-more approach” ovvero il disco non è superprodotto, cioè sono diminuite le parti di tastiera, le sovraincisioni di chitarre e l’effettistica in generale. Se già state pensando ad un cd dalle sonorità grezze (tipo Goddamnit)  siete fuori strada perché questo disco è un timido ritorno al passato, più vicino alle sonorità di From here to infirmary , Good Mourning e Crimson che ai loro primi dischi, anche se accostare la loro nuova creatura ad un capolavoro come From here to infirmary sarebbe quasi una bestialità. Vediamo, per esempio, alcune canzoni nello specifico.

La titletrack è una canzone abbastanza veloce per gli standard del trio (grossomodo sulla falsariga di una Mr. Chainsaw), con una melodia carina e un testo che gioca sulla metafora dell’amata-droga e dell’amante-tossicodipendente; Dine, dine my darling (è manifesta la citazione della misfitsiana Die, die my darling), cantata dalla voce pastosa del bassista Dan Adriano, parla di un’ipotetica ultima cena fra amanti (So let’s dine, dine, dine my darling,/ Let’s have our last supper, a toast to lovers/ And we’ll dance real sweet and slow); The American Scream (il titolo allude in forma ironica all’American dream) è una canzone “politica” che ha come tema un fatto realmente accaduto (un soldato americano che ritorna dall’Afghanistan e si spara in testa davanti alla tomba della madre) ed ha un arpeggio iniziale simile a Warbrain; Dorothy, ispirata dal film Velluto blu di D. Lynch (un thriller dalle tinte dark consono all’estetica degli alcalinici) ha una melodia vocale abbastanza incolore che migliora un po’ solo nel ritornello.     
  
In generale il cd scorre liscio liscio, senza particolari picchi né cadute di stile (a parte l’orribile assolino di tromba in Lead poisoning), privo di innovazioni, ripetendo un canovaccio che la band ha portato a perfezione circa una decade fa e grazie al quale sta ancora vivacchiando. Intendiamoci: il vivacchiare degli Alkaline trio è un gran vivacchiare perché il gruppo ha delle innegabili capacità di songwriting, dal vivo fa la sua porca figura (se Matt Skiba è in una forma vocale dignitosa) ed è sicuramente stato all’avanguardia nel mischiare melodie catchy con testi dark partendo dal quell’inesauribile miniera di spunti musicali che è la discografia dei Misfits. Ma dagli Alkaline Trio ti aspetti sempre la melodia irresistibile e l’ironia pungente, il guizzo melodico  che ti trascina in un sing-along solitario nella tua cameretta o sulla macchina mentre vai al lavoro, e questo disco manca di quel qualcosa in più che lo renda un gran bel disco.

Si corre il rischio di essere ingenerosi con una band come il trio di Chicago che in quattordici anni di onorata carriera ha sfornato 7 cd, uno split ed una raccolta di B-sides. In una produzione così ampia qualche calo di intensità è fisiologico e sebbene questo album mi sembri meglio del loro precedente lavoro, è decisamente inferiore alle loro passate fatiche; canzoni come Radio, Armageddon o This could be love sono vette troppo impervie per essere raggiunte dalle undici tracce di This addiction che si accontenta di una dignitosa aurea mediocritas. Questo dischetto potrà pertanto portarvi solo una moderata dose di divertimento; non aspettatevi granché. Uomini avvisati…

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