A18: Foreverafternothing

VICTORY RECORDS SPECIAL REWIEWS
SILVERSTEIN – A18 – FREYA
La Victory Records, label di Spitalfield e Voodoo Glow Skulls, presenta due nuovi album simili per origini musicali – entrambi i gruppi nascono dalle ceneri di formazioni storiche dell’HC – ma diametralmente opposti per attitudine, più un disco d’esordio. Karl Buechner, voce, Erick Edwards, chitarra, e Bulldog, basso, degli Earth Crisis riprendono da dove avevano lasciato nel 2001 con un nuovo chitarrista e cantante, Darian Lizotte (che é anche co-autore dei brani) e Corey Koniz alla batteria. Il problema é che ripartono dopo una svolta attitudinale significativa: abbandonano gli ideali e i valori dei primi tempi e ricombinano la grinta e la rabbia degli Earth Crisis con un abbandono ed un’orecchiabilità tipica degli ultimi anni. Sono passati dalla denuncia di un’incontrollata espansione industriale, dall’urlo di rivolta sociale, dalla politica racchiusa in riff esplosivi e strutture intellettuali a descrizioni dell’alienazione personale, della perdita della personalità davanti all’attacco mediatico, di sensazioni interiori di rinuncia (cantano “my efforts seem in vain”, “fate takes a hammer to my dreams”) e di imprecisione morale. Il cross-over degli ultimi anni ha lasciato l’impronta, e le evoluzioni melodiche dei cori di Lizotte lo provano. A detta di Karl, i Freya sono un progetto più completo, che “vuole celebrare e riconoscere la bellezza oltre che la rabbia e il dolore”. L’impressione é una virata verso la disgregazione delle idee, una zuppa il cui sapore é un po’ tutto e un po’ niente. “As The Last Light Drains” tecnicamente é perfetto: la produzione affidata a Doug White é azzeccatissima e non annega i brani nell’effettistica a buon mercato di molte produzioni d’oggigiorno. I suoni sono indiscutibilmente ben equilibrati, potenti, precisi e moderni (ascoltate la differenza con il suono del basso dei primi Earth Crisis). Le qualità tecniche dei componenti non si discutono minimamente; Koniz é una macchina d’esplosivitˆ e precisione invidiabili, pecca per˜ in originalitˆ di soluzioni proprie e asseconda drasticamente le chitarre, che sono il filo conduttore di tutto il disco, visto che le voci si alternano agevolmente nel ruolo di contante solista. I passaggi armonico-ritmici spaziano dall’HC della vecchia scuola, al crossover dell’ultima generazione. Si passa dal tiro rock ruffiano della title-track o di “Resuscitate”, alle melodie dell’arrangiamento di “April Witch” in perfetto stile crossover, ai sapori cari ai SOIA di “Doomsday device”. Il progetto, in conclusione, mantiene, per alcuni versi, la pesantezza degli Earth Crisis, ma incorpora una direzione melodica inflazionata nella musica odierna (Darian in certi cori assomiglia incredibilmente a Perry Farrell dei Jane’s Addiction e leviga la carta vetrata delle urla di Buechner). Sicuramente saranno un band formidabile dal vivo, ma hanno perso quella integritˆ concettuale che li faceva campioni di un pensiero combattivo. Altri tempi… Tutta un’altra storia in casa California, che di solito è sinonimo di punk-rock a buon mercato. La formazione degli A18, che sta per Amendement 18 (Articolo18 – attuale anche da noi), ripresenta membri di formazioni storiche dello straight-edge californiano come Outspoken e Chorus of Approval, ancora e sempre più convinti delle potenzialitˆ di un genere che ha fatto di rabbia brutale, alienazione, crescita interiore e mancata redenzione alla societˆ occidentale la propria ragion d’essere, la propria forza. La voce di Isaac Golub ha la potenza e l’urlo rabbioso di chi trasforma l’insofferenza e il disgusto di una vita, nel coraggio di reagire: i testi non parlano di annientamento della volontˆ da parte dei media, ti sputano addosso incitamenti a reagire costruttivamente per non caderne vittima. La forza del rigetto delle istituzioni, della lotta danno a questo disco un sapore di ferma convinzione nelle proprie idee, ormai non più giovanissime, ma comunque integerrime. “Foreverafternothing” trasuda la rabbia dell’ hardcore di fine anni ottanta, quello ruvido, con le chitarre al vetriolo e i testi punk, e ne infonde una nuova linfa vitale. Ciò non significa rivoluzionare un genere (l’utilizzo di un campionamento di chitarra preso da un disco in “Things I don’t believe” non cambia la sostanza), ma conferma la dedizione ad una battaglia lunga una vita. Le due chitarre si fondono e dialogano col passo deciso e convinto dell’insubordinazione, non ci sono assoli; il basso é ruvido e tagliente, rafforza le ritmiche, esce raramente dalle armonizzazioni e lancia i cambi di ritmo, là dove la batteria resta quadrata, potente e inebriante. A18 si sono riuniti con lo scopo di reinfondere valori ad un genere dilaniato dal mainstream, ormai evidentemente vuoto e privo di messaggi ed idee propri. Spaccano e non danno il tempo di rilassarsi in voli pindarici tipici di una societˆ abituata ai ‘consigli dalla regia’. ‘A tra poco’ non esiste, perché potrebbe essere già tardi. E la rapiditˆ dei cambi di ritmo – senza ponti, special, o battute transitorie – sorreggono la teoria con un suono efficace e diretto, veloce e pesante, che scuote le membra e attiva le cervella. Saranno in concerto a novembre in Italia: credo di andarci. Ed eccoci all’altro lato della musica californiana: i Silverstein. Sono canadesi, ma suonano cos“ terribilmente west coast che ci si potrebbe confondere. Nel loro disco d’esordio, dopo 2 EP, questo giovanissimo quintetto cerca di mescolare HC e punk, nella miscela più modaiola che io riesca ad immaginarmi: testi d’amore e frustazione, arpeggi mielosi, ritornelli orecchiabili alla Offspring, qualche urlo gutturale per dare durezza ad un contesto altrimenti troppo delicato… Il disco é ben prodotto: le chitarre indovinano come accattivarsi l’attenzione con riff ruffiani; il cantante e autore dei pezzi Shane Told potrebbe migliorare, cercando più originalitˆ soprattutto nelle parti melodiche e struggenti; gli altri non spiccano, fanno la loro parte onestamente. Qualche apprezzamento lo meritano per frequenti cambi ritmici in 6/8 e per l’utilizzo di un violino nel mixaggio, ma la piattezza e prevedibilitˆ del prodotto finale mi delude. Sono al primo disco, lo so, ma sembrano troppo immersi in un genere di mainstream per dare origine a qualcosa di davvero innovativo.

A18: Foreverafternothing
Track Listing:
1- Dig 2- Broke The Blue3- Public Apology4- Three Times Sold5- With Kind Regards6- This Years Enemy7- Things I Don’t Believe/Where I Left Off8- Scars Upon Scars 9- In Droves10- Bury Me Breathing11- Hara Kiri

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