35 anni di “Se Ho Vinto Se Ho Perso”: intervista ai KINA

In occasione del 35ennale di “Se Ho Vinto Se Ho Perso” dei Kina, in assoluto uno dei più importanti album della storia del punk italiano, abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con la band aostana. Buona lettura.

Per cominciare: cosa vi portate dietro più volentieri degli anni di “Se ho Vinto Se Ho Perso”?

GP – Negli anni in cui abbiamo scritto i pezzi di quel disco abbiamo vissuto momenti di creatività molto intensa. Abbiamo suonato i pezzi di quel disco per quasi due anni come pezzi inediti e la gente dopo i concerti veniva a dirci che eravamo veramente cambiati e si è creata una grande aspettativa per il nuovo disco che non avevamo ancora nemmeno registrato, e poi… tutti cantavano già Questi anni insieme a noi, anche se era uscito solo come pezzo acustico nel 7”. Era bello sentire i nostri amici, la comunità che si era creata attorno alla scena stringersi vicino a noi e sentire che anche se eravamo uno degli ultimi gruppi rimasti dagli anni ’80, noi e loro, insieme, eravamo pronti per il prossimo passo, verso altri suoni, altri pensieri, altre vite.

Il disco uscì la prima volta nel 1989, anno fondamentale per il punk e per l’hardcore: raccontateci la vostra esperienza in studio e cosa significò pubblicare quel disco in quegli anni.

GP- Abbiamo sempre avuto pochi soldi per registrare, noi siamo sempre stati totalmente autoprodotti quindi potevamo contare solo su di noi stessi, per registrare, per stampare e fare girare tutto quello che producevamo. Quindi si doveva fare bene e velocemente, il tempo era poco. Però Se ho vinto se ho perso era un disco speciale per noi, c’erano pezzi dove raccontavamo noi stessi mentre stavamo crescendo e cambiando. Un pezzo importante di quel cambiamento è stato: non fare tutto da soli. Abbiamo iniziato un anno prima a mandare le cassette coi pezzi registrati in cantina a Stefano Giaccone, già ex Franti in quel momento. Con lui abbiamo iniziato un lungo dialogo su ogni pezzo mentre li stavamo costruendo e poi è rimasto con noi in studio per tutta la registrazione. Quella è stata una esperienza molto intensa, fare screscere i nostri nuovi pezzi con Stefano che ci faceva da specchio e controcanto, bellissimo. E quando è uscito il disco è stato stranissimo… eravamo sempre in posta a spedire pacchi su pacchi, la prima stampa l’abbiamo bruciata in poco più di due mesi, non era mai successo prima.

Aosta è la vostra città di origine: Cosa significa nascere e crescere musicalmente (ma non solo) in una città appartata rispetto ai grandi centri dell’hardcore degli anni 80 (penso alla Torino dei Negazione e degli Indigesti o a Milano dei Wretched).

GP- La provincia ci ha fatto crescere con lentezza e forse anche con solidità. Poi in realtà siamo stati fin da subito “adottati” dalla scena torinese. In quei primi anni io vivevo a Torino per studiare prima e per il servizio civile poi. Ero uno dei membri del collettivo di Via Ravenna, da cui si è sviluppata la scena torinese e come se non bastasse tra il 1983 e il 1985 ho suonato coi Contrazione di Torino. Con i Contrazione condividevamo la sala prove con i Declino e i Negazione, insomma ci vedevamo sempre e facevamo tantissime cose insieme. Almeno una volta al mese mi vedevo con Marco Mathieu e condividevamo tutti i nuovi contatti del mese, fanzines, radio e posti per concerti. Si eravamo provinciali, ma provinciali in fuga!!!!

Quale è stato, secondo voi, il momento più importante della scena punk hardcore Italiana? Un concerto, la nascita di una fanzine, un disco, qualunque cosa che secondo voi ha dato il via allo sviluppo di una scena importante come la nostra.

GP- Secondo me sono successe alcune cose che hanno fatto partire tutto e forse ognuno di noi che era presente in quegli anni farà un elenco diverso. Per me l’esistenza del Virus di Milano è stato un innesco fondamentale, a Torino avevamo la possibilità di provare e di organizzare concerti in un centro del comune e questa cosa ha creato un primo mini circuito con concerti quasi regolari. Poi è arrivato T.V.O.R. (Testa Vuote Ossa Rotte, storica fanzine italiana dalla quale nacque anche un festival, n.d.r.) e questo ha portato informazione, idee, foto, nomi di gruppi, ha fatto partire la mitologia dei gruppi italiani in Italia e in Europa. E in tutto questo sono arrivati: Schiavi nella città più libera del mondo 7”, Wretched/Indigesti 7”, Cheetah Chrome Motherfuckers 7”, Chelsea Hotel cassetta, CCM/IRI cassetta, Torino 198X cassetta, Raw Power You are the victim LP, Declino 7”.
Quando tutte queste cose si sono combinate è partito tutto, a quel punto esistevamo, la scena era nata.

Parlando di fanzine, sembra che oggi ci sia una sorta di revival della carta stampata, revival apparentemente anacronistico rispetto all’era digitale che, già da un po’ di anni, si sta abbattendo su di noi: quanto sono state importanti per il vostro progetto le fanzine e cosa ne pensate di questa rinascita?

GP- In Your Eye, Porrozine, e Punkadeka sono realtà che ho incontrato con la ristampa autoprodotta di Se ho vinto se ho perso nel 2017 e poi col tour del 2019. Per me sono state una bellissima e piacevolissima sorpresa. Ho ritrovato il linguaggio di TVOR, di Maximumrocknroll, ho trovato l’attitudine dei miei 20 anni. Forse sono vecchio e io stesso anacronistico, e mi sembra anche normale a 62 anni, ma trovo che sentire il peso e la consistenza della carta, aprire la busta che arriva nella buca delle lettere, trovare la fanzine al banchetto di un concerto e prenderla dalle mani della persona che l’ha pensata, scritta, stampata, e portata sul banchetto… ecco tutto questo per me è bellissimo, è umano, è sensato e ci fa anche stare in un modo un po’ diverso al mondo. Poi ho scoperto che esiste una photo zine bellissima che si chiama S.H.V.-S.H.P. (sta per Se ho vinto se  ho perso e quando l’ho scoperto sono un po’ arrossito ed anche un po’ emozionato), e quindi
il mondo è pieno di sorprese e di bei momenti da condividere in tanti.

Assieme a band come Negazione, Indigesti, Wretched e Peggio Punx siete considerati i porta bandiera del punk hardcore italiano: vi sentite investiti di questo ruolo e cosa ne pensate a riguardo?

GP- Ma sai che non ci ho mai pensato? Per me i nomi che hai scritto qui sopra sono persone con cui ho condiviso molti tra i momenti migliori della mia gioventù. Non so cosa darei per poter ancora una volta farmi una pizza con Marco e farmi raccontare di quando hanno registrato “Lo Spirito Continua” con il riverbero della chitarra fatto mettendo una cassa in una camera vuota di fianco allo studio e il microfono che prende il suono della camera vuota, mentre io gli racconto della seconda volta che fondiamo il motore del bastardo FIAT 238 che poi abbiamo rottamato per prendere il Transit azzurro, o quando Alberto dei Peggio arriva a Bologna per suonare con noi CCM e IRI e ride ancora perché quando si sono trovati alle 5 di mattina sotto casa del bassista hanno preso lui ma hanno dimenticato il basso sul marciapiede, se ne sono accorti che erano già in autostrada, sono tornati indietro e il basso c’era ancora!!!! Eravamo tutti ragazzi che vivevano la vita ai mille all’ora, eravamo veramente nati per essere veloci, non abbiamo mai avuto bandiere da portare.

Le ristampe degli LP più rappresentativi di una band (non necessariamente punk) sono una moda che va un po’ in controtendenza con l’etica che ha visto nascere questo movimento; capitalismo, mercificazione, mainstream ecc: ammettendo che sia ancora possibile trovare una radice strettamente ancorata all’etica primordiale, cosa pensate di queste attività di ristampe?

Devo dire che quando Massimo Roccaforte e Simone Fringuelli ci hanno proposto di ristampare i nostri dischi per Spittle per me è stata fin da subito una ottima idea. L’anno prima io e Sergio abbiamo tirato 500 copie autoprodotte di Se ho vinto se ho perso perché era richiesto e soprattutto perché nel mercato secondario stava girando a € 130 a copia. Parlare di mercificazione mi sembra un po’ eccessivo quando si stampano 500 copie di “Nessuno Schema” registrato in cantina nel 1984 per fare il demo in 500 copie e stampato oi in vinile nel ’96 ed esauritissimo da 15 anni, per “mercificazione” io normalmente intendo altro: dischi venduti in milioni di copie, milioni di followers sulle piattaforme di musica in streaming e brand di moda low cost che vendono migliaia di magliette con su stampato Nirvana e chi le indossa pensa che i tre sulla maglietta siano hippie profeti new age. Quello che penso è che le cose che raccontavamo allora hanno ancora senso oggi.
Tra il 2014 e il 2017 ho girato molto per presentare il libro “Come macchine impazzite” e sono entrato in contatto diretto con i ventenni del 2000. Fame di racconti, di idee, di passione e voglia di vivere vite che corrono su binari propri, lontani mille miglia dagli stereotipi di giovane di cui parlano tutti. In pratica i ragazzi che ho incontrato in centri sociali e centri di documentazione in quegli anni sono come noi negli anni 80. Noi con gli anni 80 di plastica, della Milano da bere, del socialismo rampante, dei Duran Duran e di Drive In, noi con tutta quella roba lì non avevamo nulla a che fare, ecco adesso ci sono tanti ragazzi e tante ragazze che hanno a che fare zero con lo stereotipo del giovane del 2024. Penso che i nostri dischi abbiano qualcosa da raccontare a quei ragazzi e a quelle ragazze, per questo sono felice di vederli girare nei banchetti e nei negozi che li vogliono e li sanno accogliere.

Fino a che punto il collezionismo e la passione per un genere musicale come il punk possono sopportare i prezzi che troviamo in giro? Penso soprattutto a prime e seconde stampe, i cui prezzi sono esageratamente alti, sia online che in loco alle fiere del disco.
Che fine ha fatto il tempo del “non pagare più di…” (lo chiedo da collezionista ed è una domanda che riguarda il concetto etico più che quello economico).

GP- I dischi sono oggetti, gli oggetti possono avere un valore affettivo (ho a casa tutti quei dischi che trovi a prezzi esagerati, ma sono un pezzo di me e restano a casa) oppure un valore economico. Se un giorno, quando io non ci sarò più, i miei figli porteranno quei miei dischi in una fiera del disco e li venderanno a carissimo prezzo per pagarsi qualcosa che possa essere loro utile e se troveranno qualcuno disposto a pagare e a trattare bene quei pezzi di plastica con un po’ di carta ingiallita intorno, bene io sorriderò felice, è giusto così.

Come i Kina sono sopravvissuti agli anni che sono corsi via?

GP- Ognuno di noi ha la sua risposta. In totale i Kina sono stati 5, Sergio, Alberto, Gianpiero, Marco e Stefano. Da quando non suoniamo più insieme facciamo tutti vite
molto diverse e lontane, abbiamo quel passato in comune, ma sono passati tanti anni, noi siamo cambiati tanto, a volte quando vedo le foto di allora faccio fatica a riconoscere me stesso. Una cosa mi è rimasta, non ho mai smesso di essere consapevole che quando mi muovo e cammino di notte lo sto facendo stando seduto sulle spalle dei giganti.

Per concludere, a distanza di 35 anni, nonostante la vostra intenzione di non sentirvelo chiedere: avete vinto o avete perso?

GP- Ah ah ah ah ah lo sapevo!!!!!!
Il testo di Questi anni non finisce dove finisce il cantato, c’è una frase in più che non è mai stata cantata:

Non mi chiedere se ho vinto o se ho perso
Quello che è intorno è una sconfitta per tutti
No, non sono io il fallito
Voi tutti avete perso un po’ di vita
Voi tutti meno umani

Info sulla ristampa qui:
Se Ho Vinto, Se Ho Perso | Kina | Spittle Records

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